Ho avuto un lutto in famiglia e non sono andata al funerale. L’hanno fatto apposta, mi hanno avvertita molto tardi e forse neanche il primo volo diretto mi avrebbe fatto arrivare in tempo. Volevano evitarmi una sfacchinata, visto che la cara estinta già mi aveva salutata da lontano prima di entrare in un dolce coma, così diverso dall’agonia che l’aveva preceduto.
Ve lo scrivo perché sappiate che se andate via tutto questo ve lo perdete. Ci sono legami che le distanze confermano inossidabili, ma con quelli di sangue “non è la stessa cosa”.
L’affetto resta, le abitudini non sempre. La tua vita va avanti, la loro pure, e nonostante gli aggiornamenti su Skype qualche capitolo della telenovela si perde sempre. Vedi i giovani della famiglia che si prendono cura degli altri, danno passaggi, fanno la spesa, assistono gli anziani e trattano coi muratori, negli eterni lavori in corso delle case che hanno visto crescere più generazioni. Piccole azioni che uniscono negli affetti, e nei difetti che prima di partire trovavo insormontabili. Ora sono amabili vezzi da vivere una settimana alla volta, a Pasqua o a Natale e a qualche matrimonio, perché ormai appartengono a chi resta.
E poi ci sono quelli che se ne vanno per sempre, “si acquietano”, come direbbe mio padre, il prescelto della famiglia per comunicarmi le brutte notizie. Quelli che ti hanno cresciuta, “che te ne hanno tolta, di cacca da sotto”, come ricordavano anche davanti agli ospiti più distinti. Non aspettatevi di esserci, per un ultimo saluto. Non sempre sarà possibile. Magari vi ricordano a sorpresa nel testamento. Non in senso pecuniario, che la mia gente ci pensa anni prima, ma con qualche accenno divertente e imbarazzante che ti fa venir voglia di redigere un testamento per il solo sfizio di imbarazzare il prossimo.
Che se ne vada una che “te ne ha tolta, di cacca”, è strano. Ricordi te stessa bambina di fronte a questa tía Tula, come la chiamo ora che so leggere Unamuno, una delle tante zie sole e laboriose su cui si reggeva una società ormai in estinzione, che per furbizia o delusione hanno rinunciato all’amore ma non ai bambini. Per poi scoprire che i nipoti a cui hai cambiato il pannolino ti chiameranno sempre “zia”, e non è la stessa cosa.
A queste zie a cui un po’ somiglio, con cui forse un giorno verrò confusa, dedico più di un pensiero in questo momento.
E penso anche a qualcuno che via con me non ci venne mai perché voleva stare a meno di due ore da casa, vicino ai suoi, per le disgrazie ma anche per le cose belle.
Io invece sono partita.
Il guaio è non sapere mai chi ha fatto la scelta giusta.