– Espulso Pandev! – ho gridato dal balcone.
I 4 ragazzi intorno all’auto mi hanno guardata curiosi, le valigie già scaricate.
– E perché?
– Boh.
Sono scesa ad abbracciare mio fratello, di ritorno dalla prima tranche di vacanze, e a salutare la sua ragazza e i loro amici.
Fino alla sconfitta del Napoli (in 9 contro 15, ironizzano su fb) il ritorno stava andando piuttosto bene.
Vari momenti di tensione, ma una tensione allegra.
Come in fila per i bagagli, quando è squillato il telefono e non credevo ai miei occhi, ma me l’aspettavo, anche.
Come mi aspettavo la strana conversazione che sarebbe seguita. Troppo normale per non essere strana. E in spagnolo, che per noi è sempre stato la lingua della distanza, del “come va, tutto pronto per la partenza, trovato casa (mi dice il prezzo intero, come se vivesse solo), sei contento di andartene, scrivi”. E la lingua del non detto, o così mi sembrava mentre il tizio davanti mi credeva spagnola e mi sfotteva coi compagni.
Ho risposto con una smorfia napoletana e mi hanno pure salutato, mentre già poggiavo la valigia sul rullo trasportatore.
I souvenir di sempre, sempre più scemi, la confusione a Capodichino, mamma sto alle partenze, ma io ti aspettavo agli arrivi, e via fino a casa, senza passare dalla zia che mi fa strano non esista più.
Come il giardino del nonno, che fa male a guardarlo, senza più alberi e pieno di erbacce. Almeno adesso si vede il rubinetto vecchio, che messo lì tra le rose aveva un’aria di mistero, e la porticella chiusa in cui avevo deciso vivessero le fate.
Stavo per toglierci il fil di ferro per scoprire se nascondeva cavi elettrici o tubature. Poi ho deciso di no.
Le fate vanno bene.
Fate vrenzole come le trummettelle che hanno festeggiato i due goal oggi pomeriggio, prima del tossico.
L’unico momento brutto è stato mentre cercavo invano di allattare il gattino, scovato minuscolo in cortile e adottato all’istante, mentre la nonna cadeva l’ennesima volta e mamma per accudirla non rispondeva al telefono. Era la mia amica, in ritardo.
Stress.
Il gattò è una cosa seria, altro che babbà.