La osservo con la coda dell’occhio dal materassino, mentre cerco di sopravvivere alla seconda serie di addominali. Al mio fianco un tizio in tutina si cimenta in una posizione yoga, la testa pelata schiacciata contro il suolo, e prima che possa librare i piedi in aria lei lancia un altro acuto, sconvolgendogli lo yinn e lo yang. Poi si dimena sul tapis roulant, con l’iPod nelle orecchie.
Se non fosse per la voce stridula non capiresti subito che è una donna.
Se invece di lei conosci solo la voce, non diresti mai che dal vivo possa sembrare un uomo.
È lei, la mia vicina bachatera.
Quella che insieme alla fidanzata, messicana come lei, ha il potere di rovinarmi le migliori serate d’agosto. Sì, perché le folli, quando non litigano, invitano amici sul loro terrazzo meraviglioso, attiguo al mio pezzente, e si sfasciano di mojito e canzoni come Obsesión degli Aventura e La soledad di Laura Pausini.
Poi si tuffano in questa piscinona gonfiabile che mettono su per l’occasione, schizzandomi tutto il terrazzo, finché qualcuno al piano di sotto non chiama la polizia. Tra i loro amici spicca tale Nestor, un simpaticone che dice tutto il tempo oye, guapa de cara , occasionalmente alternato con oye, cara de guapa.
Ora, al contrario di quanto sembri io non sono tanto mondana, qualche sabato capita che a mezzanotte stia già a letto. E devo cercare di dormire con questi nelle orecchie. A sto punto meglio i francesi di fronte: una volta ho trovato affacciato un tizio che indossava una sottana di raso nero, che si è alzato su fino all’ombelico mentre mi salutava (e io mi chiedevo se ciò che vedevo fosse umanamente possibile). Ma almeno era ubriaco, probabilmente ospite della fanciulla che al suo fianco si scusava per lui ridendo, e non s’è visto più.
Invece ste due sono trash dentro.
E poi hanno rovinato un dei momenti più belli della mia vita.
Immaginate la scena. Primavera inoltrata, domenica di sole. Arriva il mio ex con due scatole bianche bellissime, una molto grande e una piccola.
– Te le manda mia madre, dal Kashmir.
Ora, per una volta che tenessi una suocera che non mi umiliasse dal vivo con la sua cucina (meno male che aveva insegnato bene al figlio!), sta cosa dei regali mi sembrava una bella svolta. Ringrazio, sospettando che i soldini li avesse cacciati lui, e apro la scatola grande.
Rimango a bocca aperta. Uno splendido mantello verde ricamato a mano, con fiorellini delicati e minispecchietti sull’orlo. Quando si dice puro cashmere.
– Come si indossa? – lo guardo sconsolata cercando di metterlo sulla tuta antisesso, a fare da sola sembro il fratello di Wendy di Peter Pan in camicia da notte oversize.
Lui me lo sistema diligente sulle spalle, poi prende uno dei lembi e me lo mette in testa tipo chador:
– Così è perfetto.
Rispondo campa cavallo, me lo abbasso sulla nuca e apro la seconda scatola. Mi investe un luccichio di ori e riflessi trasparenti, mentre le pareti bianche si riempiono di miniarcobaleni che danzano mentre gli porgo il discretissimo collanone Bollywood, perché mi aiuti a legare il laccio simil-oro zecchino. Io intanto metto gli orecchini abbinati.
In seguito mi avrebbe rimproverato di non essermi messa la parure per andare con lui dal kebabbaro, luogo quantomai appropriato per sfoggiare tanta sbriluccicanza. Intanto, però, mi guarda soddisfatto, seduto a una sedia IKEA del balcone, mentre mi pavoneggio come il pezzotto napoletano di una principessa indiana, accennando perfino qualche passo di Kashmir Ki Kali.
E mentre lo attiro in un abbraccio di sfida a tutto quello che ci rema contro, la cultura, il permesso di soggiorno, ‘a gggente, un abbraccio nel sole che manco Aishwarya Rai e Shahrukh Khan nella canzone con cui mi martellava le gonadi ogni tanto…
– Scusate, avete visto un armiño?
Mi giro e c’è sta tipa controsole, affacciata al muro divisorio del balcone.
– E che è un armiño? – guardo un attimo lui, poi valuto in un secondo il suo livello di spagnolo e decido che è meglio rivolgermi alla diretta interessata.
Lei comincia a spiegare: animaletto piccolo da compagnia, sembra un cagnolino, cambia pelliccia in inverno…
Un ermellino!, mi dico tra me, giurandole in sanscrito (già che sto conciata così) di non averne visto manco l’ombra tra le antenne del Raval.
Ma quella non si arrende. Rispunta almeno 4 volte per ripetere la domanda. Vedo solo sto turbante rosso su una specie di tunica da casa, quindi concludo che senza sole sarebbe uno spettacolo anche lei.
Quando ormai posso sperare che per quella sera Allah chiuderà un occhio, sulla passione di certi suoi fedeli non uniti dal sacro vincolo del matrimonio, riemerge un’ultima volta:
– L’ho trovato! Si era nascosto dietro una pianta!
Intuirete che da allora ogni volta che mi spara a palla la canzone qua sotto sono fortemente tentata di accogliere la sua richiesta.