L’anno l’ho chiuso bene, ma mi sentivo irrequieta. Era come se fossi capace di divertirmi, abbuffarmi, arrabbiarmi pure, ma non di starmene tranquilla da qualche parte a godermi tutto questo.
Sarà lo stress da 2012 che se ne va, importante ma di passaggio, un punto interrogativo tra i calendari che metti in ripostiglio invece di buttarli, perché le illustrazioni sono belle.
Oppure i miei due tarli di sempre, acuiti da ricorrenze tipo primo dell’anno:
– quello ansiogeno da TSO, tipo adesso pare che va tutto bene, ma appena ti distrai crolla la casa e l’unica cosa che si salva sarà quella ciofeca di regalo di zia Palmina, che se ti sopravvive quello vuol dire che hai proprio fallito;
– quello della bambina dispotica che ero un tempo e che ogni tanto mi ricorda che sto in ritardo sulla tabella di marcia: non ho ancora vinto il Nobel e Johnny Depp è ancora single.
Per non sentirli più mi sono messa a guardare il tramonto dalle fessure della persiana, poi mi sono detta perché non alzarla, poi perché non uscire sul balcone (specie se consideriamo che la vicina era rientrata e non dovevo fare gli auguri).
Mi piace molto, il tramonto dalla mia stanza. A volte sospendevo i compiti per scriverci favole, con mia madre che faceva la croce a smerza. Mi piace il contrasto tra i toni arancio, affumicati dall’umidità, e i casoni di provincia con le soffitte abusive. Mettici quel poco di verde che consentono i cortili, e manca solo il canto di un uccello.
E prontamente se ne materializza uno sull’albero all’orizzonte, tra le foglie nere nell’ultimo sole.
Ecco, adesso sto bene. E con sorpresa, io che da anni amo le grandi città con buona pace di Marcovaldo, scopro che mi piace l’orticello di una vicina che non conosco, e i due alberi che sopravvivono tra il mio giardino e quello di fronte. Che una cosa tranquilla con uccellini e tutto non mi dispiacerebbe troppo. E se avessi una figlia che interrompesse i compiti per godersi sto tramonto non mi farei la croce a smerza.
E a proposito di croce, suona la campana. La messa del primo dell’anno.
In effetti nella mia cultura quello che sento ora si convoglia nel pensiero di Dio, se no resta incandescente come il tramonto trafitto dalle antenne.
E stavolta addirittura potrei seguirlo, il richiamo della campana, a costo di far venire un infarto a nonna che ormai mi crede Satana.
Ma poi decido di farla campare altri 100 anni, che per il Dio che vedo adesso non fa differenza.
Che è dappertutto, pure sui balconi.
Che l’uccello che adesso passa dall’albero a un antennone alto che non capisco manco cos’è, che per fortuna nelle favole non esce mai, quel pennuto testardo che non smette di cantare ora è Dio pure lui.