L’amico, un po’ più giovane, ha preso una stanza a Napoli, prima esperienza senza i genitori.
È evasivo. Poi mi spiegano che frequenta una ragazza.
Come quella che volevamo rifilare a un altro, vari anni fa, ma che probabilmente già allora si vedeva con l’attuale fidanzato, conosciuto in chat.
O la ragazza seduta vicino al palco nella birreria in paese, che il cantante ogni tanto la guarda e nessuno sa niente, nessuno dice niente, ma lei si è messa un vestitino con dei tacconi neri che sembra ancora più bassa, un nanetto sui trampoli, e non se ne accorge, rapita. E parte il totoscommesse: si tengono, o no?
Si vedono, si frequentano, si tengono, o semplicemente un occhiolino. Quando non si scade nel volgare. Pure nella terra dei fidanzati in casa è come se le coppie dovessero passare per questa fase di rodaggio che osservo con indulgenza, divertimento quasi. Perché non stiamo parlando di scopamicizia, ma proprio di gente che si ritrova allacciata a una festa, o comincia a chattare una sera, e semplicemente si assaggia, si sperimenta e conosce piano senza passare per la fase m’ama non m’ama, innamoramento selvaggio seguito da un corteggiamento serrato, contrapposto a una resistenza più o meno ipocrita. No, la libertà di movimento e di testa degli ultimi anni prevede di consumare quasi subito l’attrazione, per lasciare spazio al grande punto interrogativo del poi. Dopo aver tolto i giornali dalla macchina, che si fa? Si resta insieme o chi s’è visto s’è visto?
E paradossalmente il bacio rubato dei nonni diventa la prima cosa che ottieni.
Anzi, ripenso alla grandiosa nonna di un’amica salernitana (e non cominciate che non so trascrivere il salernitano):
– Ma io nun capisco, nuje nun puteveme fa’ ‘a prova, ce l’evemo piglia’ comm’erano, e vuje che facite ‘a prova po’ ve lassate ‘o stesso?
Sì, si lasciano lo stesso. Anzi, in qualche caso non si mettono proprio. Dopo essersi assaggiati per un po’ vedono che non è cosa e buonanotte. Intanto la fase ibrida è durata mesi e non sempre gli amici se ne accorgono.
Ma a quel punto, capirete, anche il concetto di coppia clandestina è cambiato.
E leggo tanti libri con doppia trama, una bella coppia degli anni ’40 e un’altra, confusa e infelice, di oggi: la prima è sempre perfetta, oh, quasi quasi vorresti che ti cadessero addosso le bombe, se devono essere l’unico impedimento a un amore che trionfa.
Ovviamente succede perché sotto le bombe non c’eri, e perché forse non hai mai visto quelle vedove che, come diceva Italo Svevo, da una parte piangono il defunto e dall’altra sono incoffessabilmente risollevate. Per essere tornate libere da un giogo nato da qualche affacciata furtiva a un balcone, da sguardi quindicenni lanciati a uno con cui, prima di chiedergli i soldi delle bollette, non si erano mai davvero parlate.
A meno che non fossero pratiche come la nonna di un’altra amica: “Me ne proposero due, ma alla fine presi tuo nonno perché almeno lo conoscevo”. Matrimonio felice.
Certo, l’altro estremo, ai miei occhi, resta quello che chiamo il divano IKEA. Prendersi a rate senza mai stabilire cosa siete, così eviti di farti carico della responsabilità dell’altro. Una scopamicizia, se la fai bene, è onesta, il divano è una terra di nessuno ambigua, fatta di gelosie difficili da gestire ma guai a fare un passo avanti e dire “Ok, che stiamo facendo?”. Perché l’ambiguità è chic e non impegna. Soprattutto non impegna.
Magari si fa perché l’alternativa, dalle mie parti, può essere ancora portare le paste la domenica e diventare +1 sugli inviti alle feste, in un rapporto asfittico che quando finisce corri a cercarti avventure al grido di “Esco da una storia importante, non voglio impegni”.
E poi l’ambiguità a volte sembra l’unica cosa che si avvicini agli amori epici che ci propinavano con le favole. Il tormento clandestino, la fragilità e precarietà dei sentimenti come bandiere, finché non finisce e uno dei due fragili e precari viene avvistato sul lungomare liberato con un pallone gigante a forma di cuore.
È questo che volete?
Io no. Rispedisco al mittente la morbosità autoindotta dei nonni e l’ammore da discount dei nipoti. Il sesso ben venga, ma quando si parla di amore attenzione. Maneggiare con cura. Chiamarlo per nome e invitarlo a entrare. Ma non della serie ue’, il caffè sai dove sta, l’asciugamani in bagno è pulito, scusa ma ho da fare. No. A sto punto lascialo fuori.
L’ospite è sacro specie se è lì per restare.
Tanto vale prendere una tazzina del servizio buono, e fargli spazio sul divano.
(una delle più belle canzoni d’amore che conosca)
Questo blog non è altro che una autocelebrazione mista ad autocommiserazione poiché non si riesce ad essere ciò che si ambisce a diventare.
Beato te che puoi evitare di leggerlo, allora! 🙂 grazie comunque per averci perso tempo.
concordo con mimmo… tanti corteggiatori… però sei stata regolarmente mollata… o sogni gli spasimanti, o l’amore… ? Non mi sembra il caso di ridere degli amori altrui, se tu non lo hai trovato, o se come dici ti ha mollato, forse dovresti provare a cambiare il servizio da caffè …
Mai stata mollata. Per mollarmi dovevano filarmisi :p . Credo che ridere di sé e degli altri sia la chiave di tutto. Grazie per l’idea sul servizio da caffè 🙂 .
e se invece provassimo a smettere di pensare all’amore e alle relazioni come a qualcosa di astratto e ci concentrassimo sulle singole persone e sui singoli rapporti che con esse si possono istaurare? l’amore non è sempre uguale a se stesso…
Grazie per l’osservazione, fa piacere ricevere commenti costruttivi, su cui si possa riflettere e lavorare. Sono d’accordo sulla neccesità di concentrarsi sulle singole persone. Credo però che le astrazioni abbiano la loro utilità, come le mappe, o come le ricette di cucina. Poi ognuno fa invariabilmente a modo suo. Personalmente individuo delle tendenze generali che trovo interessante analizzare.