– I Pan di Stelle?
– Ce li ho.
– Tarallucci?
– Ce li ho.
– La pasta di Gragnano?
– Mamma, al carrer del Parlament hanno la Faella. Voi la trovate, al supermercato, la Faella?
Non si rassegna. Ma davvero, ormai a Barcellona trovo tutto. Specie da quando sono refrattaria a carne e affini, quindi il problema della pancetta paesana non si pone. Ok, finisco sempre per accettarne un pezzettino sottovuoto, per insegnare la carbonara senza panna agli amici non vegetariani.
Ma solo due cose mi mancano veramente, e non c’è verso di trovarle.
Una semplicemente non esiste. Non ufficialmente. È come il belief di Hume, o la mille lire a Sant’Antonio ‘o pezzantone, che ti ritrova gli oggetti smarriti e ormai si farà venerare in euro pure lui.
Insomma, più una fede che una certezza.
La menesta nera.
Detta anche menesta ‘i Fratta (la ‘e napoletana da me diventa ‘i) e, ho scoperto da poco, rucculillo ‘i Aversa. Foglie verde scurissimo e un sapore tra cavolo, broccolo e friariello.
Sconosciuta nei supermercati e nei grandi centri ortofrutticoli. Me l’ordina mamma al fruttivendolo che passa con la laparella (l’Apecar). E quando arriva acala ‘o panaro, ancora di vimini rispetto a quelli di plastica blu a Napoli centro. Poi, nonostante le mie proteste, se la mette a “scegliere”, magari con nonna e la sua badante che per l’occasione si farà le tre croci ortodosse, tutte e tre ‘a smerza. Troppa grazia, Sant’Antonio (che in questo caso si rivela poco pezzantone).
La metto in valigia con tutta la bustona di plastica, a costo di lasciare a Napoli il piumino pesante, che nella soffitta polare a cui torno è questione di sopravvivenza. Morirò assiderata e contenta.
Non so come la fanno le mitiche nonne maestre ai fornelli, che le mie erano maestre e basta, ma io metto a soffriggere aglio e olio a fuoco lento, in una pentola bella capiente, e ci lascio insaporire per qualche minuto la quantità che ho scelto. Poi ci aggiungo acqua fredda q.b. e chi vuole se la mangia, se no c’è la pancetta sottovuoto.
Il creatore di Divano Marziano, che è vegetariano, una volta se n’è mangiati 5 piatti, con tutta la baguette del forno sotto casa.
E qui veniamo alle dolenti note, perché l’altra cosa che non trovo è il pane cafone. Cotto al forno a legna, perché tengo i vizi.
Mi accontento della mezzaluna che mi porto nello zaino, che se suona qualcosa faccio fare i numeri a Capodichino, e della settimana in cui mi potrò godere la bustona di oro verde.
Quest’anno me la porto per un pelo, eh, che alla vigilia di Natale mio fratello mi ha fatto girare tutti i fruttivendoli del posto in cerca di friarielli e ho scoperto che la gelata aveva giubilato tutte le verdure delle feste. Le piante erano state gelate a metà crescita, le foglie non si erano aperte proprio.
“Sono così gialle che stanno buono addo’ stanno“, ha dichiarato una fruttaiola storica.
Almeno per i friarielli, il cassiere di un supermercato proponeva il piano O: Orogel. Quasi piangevo.
Pure di commozione.
Perché le nostre campagne alla diossina, inguaiate per chissà quanto ancora da monnezza, sversatoi e chi più ne ha più ne metta, si perdono ancora per una gelata che m’impedisca di mangiare friarielli a Natale, menesta nera a gennaio.
A me, che volendo dal pako di Joaquim Costa trovo zucchine tutto l’anno e pomodori a ciliegina pure a gennaio. Che non sappiano di niente è un’altra storia.
Fortuna che il secondo raccolto mi fa partire fessa e contenta. Per la serie non ho un lavoro, ma ho la menesta.
Stavolta però un piattino me lo metto da parte, prima che passino le cavallette marziane.
(una che dev’essersene mangiata molta)
Qualcosa di simile alla “menesta nera” dovresti trovarla anche qui. Non ne sono espertissima in quanto non amante né consumatrice di queste verdure ma dovrebbe essere il vero ingrediente che si usa per fare il “trinxat de la Cerdanya”. È una specie di verza, si trova solo nel Pireneo e la di chiama “col d’hivern” (Brasica Oleracea) ma in realtà ha la forma dei friarielli e il sapore che descrivi tu.
Al Mercat di Santa Catarina, verso il fondo, accanto ad un banco di frutta secca e di fronte ad uno di pollame c’è un banco di verdura con “recollida propia” che quand’è tempo, cioè adesso, ne ha. Prova, uguale uguale non sarà, ma un buon surrogato può esserlo. In bocca al lupo.
Ringrazio commossa, davvero 🙂 . Degustandola ti penserò intensamente augurandoti tutto il bene possibile.
Oh, ma no, tutto il bene è sarebbe troppo! 🙂 Continua a scrivere piuttosto. Ti seguo sempre curiosa e pure un po’ impaziente quando vedo che non ci sono post nuovi, cosa che, per fortuna, capita raramente.
Dalla regia mi chiedono: e la cicoria, l’hai mai trovata, qua? Grazie mille ancora! 🙂
Bella,
ho fatto un po’ di ricerche, che purtroppo sono state infruttuose. A quanto pare qui la cicoria non sanno nemmeno cosa sia. Se chiedi in giro, al massimo ti propongono il radicchio di Treviso che è sì della stessa famiglia, ma non è quello che cerchiamo.
Però, la cicoria cresce spontanea anche qui. Se sei una che va a passeggiare in montagna, quella sarebbe l’unica occasione per trovarla, raccogliendola tu sola. Io non ho esplorato, quindi purtroppo non posso aiutarti più di tanto, mi spiace.
Per qualsiasi altra cosa,già sai 🙂
P.S.:
Per il pane “cafone”, non ho ancora trovato nulla in questa città ma, se hai un forno, tii puoi fare da te qualcosa con un risultato molto molto simile. Guarda un po’ qui:
http://rossellateloexplicatodo.blogspot.com.es/2011/11/harina-de-mi-saco.html
Sempre più commossa. Grazie mille!
Sempre prego e bontà vostra 🙂
Ma poi fammi sapere come è venuto il pane, che ci tengo e quell’articolo mi uscì proprio dal cuore e dal fegato, incazzata per tanto speculazione di cui siamo vittime noi terroni che siamo sí dei mangiapane, ma vuoi mettere che pane! Saluti, bella. 🙂