metrovanvitelli È ufficiale: non so più venire a casa tua.

Vabbe’ che ora stai lontano e non ti ci troverei nemmeno, ma cavolo, il Vomero non lo conosco più.

Pensa che in metro ho dovuto chiedere a una se per arrivare a via Kerbaker dovessi scendere a Vanvitelli o a Medaglie d’Oro. Quella credeva che a Vanvitelli ci fosse proprio l’uscita Kerbaker. E attraversando quella stazione labirintica, più vecchia di 10 anni, ho ricordato te che mi chiedevi “Fammi capire, non hai mai ammesso che fossi il tuo ragazzo, e ora sono diventato il tuo ex?”.

Chissà se a dirti che sei stato ampiamente vendicato saresti venuto con me da Loffredo, per la presentazione di Mondo Azzurro.

Sì, magari tu a Granada non hai mai visto neanche una partita del Napoli. Ma qui si parlava del Napoli di chi se n’è andato, dei napoletani all’estero come me e, prima, te.

E per Marco Rossano, l’autore, Napoli e la napoletanità sono un marchio da esportare alla faccia dei pregiudizi, del “terrone” detto per scherzo da un catalano che, se tu e io fossimo di Quito, non ci chiamerebbe mai sudaca.

Anche attraverso il calcio. Nel dibattito che è seguito (sì, il dibattito sì), tra discussioni su cultura, lingua, e sport come forma di politica, una delle domande è stata “come si fa a essere napoletani e tifare altre squadre?”.

E Pino Imperatore, che moderava fresco di secondo libro, ha rivendicato questa possibilità nonostante la passione viola.

Ma io e te lo sappiamo, che la passione ha mille strade, non tutte lineari. T’innamori da piccolo di una divisa, o della squadra che ama tuo padre, o di quella della città in cui vai in vacanza.

La mia passione si è riaccesa al Camp Nou il 22 agosto 2011, ci sono rimasta secca come a 9 anni, quando festeggiavo in una Piazzetta di Capri per una volta scostumata e felice. Nel ’90 vincevamo, nel 2011 ci distruggevano. Ma che importa.

E poi gli essenzialismi in cui sfociano questi discorsi sono figli di ferite vive e aperte, e lunghe da rimarginare, che noi ci siamo leccati da lontano fin quasi a scordarcene. E forse guadagnando, suggeriva Marco, una nuova obiettività nel vedere le cose belle che i napoletani scordano perché vi sono immersi. Come la Sanità e i suoi tesori, rivendicava Pino, che ridendo e pensando la fa percorrere tutta d’un fiato.

Come la tua San Martino, pensavo io.

Ti rivedevo di notte, seduto a gambe incrociate sul parapetto, che davi le spalle a Sant’Elmo per goderti quella vista mozzafiato. Mi confessavi che ogni tanto ci venivi da solo e ti dicevi:

– Un milione di anime.

Allora le vedevo anch’io. E per una volta, con tuo grande sollievo, restavo senza parole.

Ora sappiamo che quel milione di anime campa benissimo anche senza di noi seduti lì a guardarle.

Ma come le guardavamo noi, Sebastia’.

Come le guardavamo noi.

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