Ma cos’è sta vineria, io sapevo il Pavean.
Infatti arrivo fino alle “pompe gemelle”, una perla della toponomastica locale, che Udinese-Napoli è già iniziata e devo ammettere che ho perso la bussola.
Come la settimana scorsa, che cercavo Siddharta (unico negozio fricchettone ad aver tentato l’avventura paesana) e ho scoperto che era chiuso. Come la cartoleria che, storpiando il nome, chiamavamo Culo così, carestosa e non ti faceva neanche lo scontrino.
Ma la vineria, scopro quando la trovo, ci ha guadagnato, nella trasformazione. Piccola e accogliente. Solo che sono l’unica donna. Anzi, no, ce n’è un’altra, e la cameriera slava. Quelle della seconda sala le scoprirò poi, qualcuna addirittura struccata. Io per una volta che ho ‘nu jeans e ‘na maglietta li trovo quasi tutti in camicia e maglioncino, quelli seduti intorno alle panche a guardare il Napoli. Sgranocchiano cestini di spassatiempo (nocelle, mandorle ecc.)… Ok, gli ex compagni di scuola li riconosco facile, e pure quelli dell’altra sezione. Ma questo ragazzo che mi ritrovo davanti, sedendomi storta di fronte a Insigne che non va mai a segno, questo andava forte nella comitiva chiattilla, vero? Quella delle ragazze che si spalmavano languide la crema Dune di Dior, prima di scendere e baciare lentamente tutti i motorizzati, una guancia per volta, e allontanarsi da me se dovevano dirsi segreti importanti.
Ora la cosa importante che abbiamo da dirci è che l’Italia non ha il governo.
E il Napoli sta facendo ‘na chiavica di partita.
Pure Diego avrà spento la TV. Che figura ci facciamo, Maradona a Napoli a cancellarsi i debiti in un colpo di spugna, appellandosi al sentido común (e stavolta so cos’è) e questi giocano così, con questi passaggi che non portano a niente. La Juve si allontana e il primo marzo saranno croci a smerza.
Io il primo marzo sarò già a Barcellona a ripetermi che ho fatto bene, ad andare a votare. A convincermene.
– A quanto stammo? – ci chiediamo nell’intervallo. Non la partita, quella è sempre 0-0. Le cicche cadono sul marciapiede, gli iPhone si accendono su Repubblica, Corriere e quant’altro.
-Eh, sta in vantaggio lui.
Non si nomina, come quando vivevo qua. Porta seccia.
– Pecché tene ‘a Lombardia, chillu mErda.
Parliamo dell’Italia che va a rotoli e non posso fare a meno di notare l’accento di paese. Le e aperte, quasi a, le a quasi o, qualche doppia di troppo rispetto al napoletano standard.
– Tu l’ ‘e ‘a fUrni’. Bersani mo’ tiene 167 seggi.
– S’ ‘e chiOva ‘n faccia.
Votano anche Sel, scopro. Più di quanto credessi. Qualcuno ha votato PD al senato, turandosi il naso, per impedire lo scenario che ora si prospetta. Ce n’è uno che ha votato i marxisti. Non quelli per Tabacci, quelli veri.
Il secondo tempo non offre chissà che brividi, a parte qualche tiro in porta e un rigore mancato (Ma qua’ simulazione?). Speriamo fino all’ultimo, fino all’ultimo, che il compaesano Lorenzo ci faccia almeno un gol. Ma niente, Diego starà sbadigliando quanto noi.
Solo che lui poi torna in Argentina, il dio della mia infanzia, quello che veneravano pure quegli zii che non credevano in Dio.
Io, invece, torno a Barcellona. Da quelli che hanno votato per posta o sono venuti apposta, come me. Che si sono candidati, pure. Che a ogni manifestazione stanno lì a sostenere, a solidarizarse, e poi gli dicono che sono scappati.
Da quelli che, guardandoci in faccia a un tavolino di c. Robadors, la strada delle puttane, dicevano che sarebbe strano, proprio strano, incontrarsi in Italia.
E che invece ora, per me, sono più Italia di questo bar di bestemmie trattenute e spassatempo. Più dell’Italia stessa.
Peccato che, a parte gli arachidi, lo spassatempo non so dove trovarlo.