da abc.es

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Gli chiedo di scrivermi due cose su Chávez.

Dice più tardi, ora è troppo scosso.

Gli spiego che i miei amici sono a lutto.

– Venezuelani? – chiede.
-Italiani.
No tienen ni puta idea.

Lui è un venezuelano di Sala Consilina, come ce ne sono tanti. Nipote di emigranti. Poco prima delle elezioni mi ha chiesto pure un consiglio per sua madre, su chi votare al Senato italiano. Anche se vince Berlusconi, aveva aggiunto addolorato. No, stavolta no, avevo risposto convinta.

Lo ricordo alle elezioni venezuelane, invece. Mesi fa. L’entusiasmo con cui invitava a votare per mandare via Chávez, e le sue belle foto nella sede elettorale improvvisata, con una fila fuori che arrivava a circondare l’edificio. Ci aveva creduto tanto, e alla riconferma del mandato aveva scritto un lungo messaggio rassegnato.

Ora ha paura per la sua famiglia, dice, quello che rischia di salire al potere è “ancora peggio”. Teme una specie di transizione dolorosa, violenta.

Io ripenso a quella manifestazione in Plaça Urquinaona, di cui ho già parlato.

Mi ci ritrovai nel bel mezzo, senza sapere che succedesse. I poliziotti m’impedivano di attraversare dal centro della piazza al marciapiede laterale, dovetti fare il giro lungo.

Al centro della piazza, gente dei centri sociali, all’apparenza autoctona. Con striscioni pro-Chavez.

Sul marciapiede, venezuelani. Con striscioni anti-Chávez.

– Sono i pijos – avrebbe sentenziato anni dopo Gabriel, un compagno del corso di catalano, finendo la sua “sigaretta aromatica”. I venezuelani anti-Chávez che vivono a Barcellona sono i figli di papà, con abbastanza soldi per fare il viaggio. Chávez ha alfabetizzato il paese, ha dato case, ha fatto molto per chi non aveva niente. Se i pijos hanno dovuto chiudere qualche radio per quello, problemi loro, la loro democrazia filo-yanqui è un bluff in tutti i casi.

Ripenso all’amica incontrata alla manifestazione, tra gli anti-Chávez. Mezza colombiana, figlia di un tassista, e il fidanzato scozzese della working-class di Edinburgo.

Strano sentire tanti pregiudizi da uno che smentisce i miei sui perroflautas: non è il pijo mancato di una famiglia bene, i suoi sì che sono emigrati dall’Andalusia. Ora, nessuno paragona l’emigrazione andalusa anni ’60 con quella latina più recente, ma insomma, le sue analisi mi sembrano esulare un po’ da quella politica.

Un amico autoctono mi dice, più pacatamente, che Fidel e Chávez si devono contestualizzare: rispetto alla schifezza di governi che trovi in America Latina, meglio loro. Non dobbiamo guardare alla cosa con occhi occidentali (ma scusate, l’America Latina sta a Oriente?).

Ma così siamo esattamente occidentali, dicono da uno degli accesi dibattiti su Internet che stanno spuntando in queste ore: paternalisti che dicono “vabbe’, dobbiamo fare due pesi e due misure, in Venezuela è un’altra cosa, poverini.

In attesa delle parole del mio amico pijo venezuelano, decido che il mio pregiudizio è sempre quello, e no, non faccio di tutta l’erba un fascio, ma è simile a quello verso i dittatori di destra, bonificatori di paludi, e gli imperialisti che però costruiscono “strade e ospedali” in colonia.

Rileggo il comunicato del Partito Comunista – sinistra popolare:

Chavez, presidente della “Repubblica bolivariana del Venezuela” per altri 6 anni, continuando il suo programma esplicitamente e coerentemente socialista: spesa pubblica decisa con partecipazione sociale, lotta all’analfabetismo e alla fame, lotta contro le disuguaglianze sociali, programmi pubblici per la salute e le abitazioni (3 milioni costruite), sviluppo dell’occupazione pubblica, riappropriazione statale delle risorse naturali (petrolio), finora rapinate dall’imperialismo e dalle sue multinazionali. Il numero dei docenti della scuola pubblica è stato moltiplicato per 5, il tasso di mortalità infantile si è ridotto alla metà. La tassazione è rigorosamente progressiva (come prescrive la nostra Costituzione violata).

Chavez punta a contrastare e sconfiggere due nemici potenti ed alleati: la borghesia oligarchica interna e l’imperialismo USA, in cerca di rivincita. Una politica simile a quella del socialista Allende in Cile, che provocò il golpe USA di Pinochet con la tortura e la mattanza di molte migliaia di comunisti e cittadini.

Quindi un trend antitetico rispetto a quello che viviamo in Europa e in Italia, con il rilancio dello Stato sociale e del potere d’acquisto dei cittadini. Invece che ripudio della politica e assenteismo elettorale, nel Venezuela di Chavez avviene, non a caso, l’opposto. Dunque un esempio vincente ed attualissimo del socialismo bolivariano, nemico del capitalismo. Chavez ha sempre dichiarato con fierezza che la sua politica è ispirata ai valori e alle proposte del socialismo di ieri e di oggi, sia latino-americano (Bolivar, Castro, Guevara ) che di altri Paesi del mondo.

E la domanda ingenua è: possibile che per fare tutte queste belle cose ci volesse un regime che in tanti, venezuelani o meno, non esitano a definire autoritario?

Anche qui va risposto ni puta idea?

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