Non so se il mio spirito di osservazione era latitante, l’anno scorso, ma mi sembra che mai come questo 19 marzo i social media siano stati invasi da foto di utenti coi loro padri.
Da Pieraccioni alla sottoscritta, che ultimamente ha trovato delle foto in bianco e nero dei suoi 3 anni che le hanno fatto fare tutta una serie di riflessioni, prima su di noi da bambini, e poi sui nostri padri.
Vi avverto, sono riflessioni banali, ma siccome per trovarvi qui vi avrò beccato in quei 5 minuti in cui non avete di meglio da fare, vi chiedo un po’ di comprensione.
Guardandomi contenta e sorridente, sicura dell’affetto dei miei e apparentemente spensierata, mi sono chiesta cosa sia successo poi. Cosa mi abbia fatto perdere quella fiducia in me stessa di quando altro che Di Caprio, la regina del mondo ero io.
Non sono manco originale, credo sia un problema comune, o sbaglio?
Va bene uscire dalle manie di grandezza che può avere una figlia primogenita, prima under 20 di una famiglia che fa poca vita mondana. Ma da qui a perdere quel sorriso e quel senso di sicurezza ce ne passa. Insomma, a me ha fatto bene rivedermi in quel momento della mia vita, e ho deciso che, se ovviamente non potrò mai ritornarvi, posso adattare un po’ di quei sorrisi al mio volto di adesso. Ora almeno i denti non mi mancano.
La seconda riflessione è sui padri d’annata che ho visto in rete. Giovani (il mio, coi suoi 33 anni di differenza con me, era un decano), e affettuosi, almeno nelle foto. Non so se a obiettivo tappato abbandonassero il pargolo alla mamma, se cambiare il pannolino fosse una cosa da donne. Ma nei limiti della loro cultura, di quello che hanno spacciato loro da sempre per virilità e paternità, sono sicura che quasi tutti hanno fatto del loro meglio.
Il fatto è che, mi sembra, spesso i bambini delle foto non sono pronti, a loro volta, a diventare padri. Qui potrei lanciarmi in questioni di lana caprina sulla crisi del maschio, o sulla liquidità dei ruoli di genere, che ci ho fatto pure un dottorato (ebbene sì, mi pagavano per questo). Potrei dimenticare il dottorato di cui sopra e i luoghi comuni sulla misandria, e dire che gli uomini mentalmente sono eterni bambini. Almeno non vi scodellerei teorie pseudoscientifiche basate su esperimenti che si contraddicono tra di loro.
Potrei tirar fuori, e qui finalmente avrei un po’ di sale in zucca, il problema ormai annoso della crisi economica mondiale, del precariato globbbale totale che ci fa rivedere le nostre scelte e ridimensionare gli obiettivi. Ma, considerando i nostri nonni e vedendo anche i nipoti che scelgono di aver figli e tirare la cinghia, sento che non è tutto, che manca un tassello a questo mosaico di figli felici e viziati che si trasformano in padri mancati.
Non pretendo di ricomporlo. Ma sento che, semplicemente, tanti di quei bambini degli anni ’80 non sono pronti. Semplicemente. Sono passati 30 anni e mi sembrano idealmente più vicini al bimbo della foto che all’adulto che lo regge. Perché? Boh.
Forse perché adesso sanno che possono scegliere. Che un matrimonio e un mutuo non sono più così impellenti, rispetto al wide wide world da visitare, a progetti da portare avanti, ecc. Forse perché anche le loro sorelle si sono liberate dall’obbligo di sapere esattamente cosa vogliano dalla vita, per poi sentirsi dire che “le donne non sanno mai cosa vogliono”.
Ma credo che qui c’entri molto l’umana tendenza, che trascende generi e generazioni, a vivere scansando il più possibile le proprie responsabilità. Una tendenza che la società liquida ha imparato a incoraggiare. E finché queste responsabilità sono seguire un percorso tracciato da qualcun altro fin da quando avevi 3 anni, perfetto scansarle.
Il sospetto, però, è che per inseguire chimere (e ciascuno ha la sua) fino a diventare bimbi vecchi si perdano cose importanti per strada. Come la possibilità, appunto, di essere padre. Ho detto la possibilità, non l’evenienza. Alle possibilità ci tengo sempre, io. Mi fa arrabbiare non “poter” fare una cosa, anche se magari non la voglio neanche fare.
E non credo sia un caso che, ora come ora, con buona pace di Povia e del nuovo papa che è troppo umile per scomunicarmi, mi sa proprio che nella mia vita vorrei più mio figlio, che suo padre.
E il semplice ricordo che per essere arrivata qui qualcuno mi ha nutrita, coperta, lavata, protetta, che c’è un nesso tra quelle foto in bianco e nero e i colori della mia stanza di adesso, mi rende il pensiero dei figli più lieve, in tutta la sua imponderabilità.
Agli uomini della mia generazione che hanno il coraggio di pensare lo stesso per più di un istante, un abbraccio e ‘a Madonna ce accumpagne.
(un padre)