plaza de mayo Di Videla sapevo più o meno quello che sapete voi. Ho visto i vostri stessi film, letto i vostri stessi libri, pianto d’indignazione di fronte alle madri di Plaza de Mayo.

Ora che è morto, come faccio ogni volta che c’è una notizia su di lui (vedi quella dell’anno scorso sui 50 anni per i figli dei desaparecidos), sono andata a leggere i tweet dell’attore Juan Diego Botto.

Per due motivi: 1) è sempre un bel vedere (e poi scrive, ha un sacco d’interessi, e s’è sposato pure una donna in gamba, quindi non sono eccessivamente gelosa); 2) è, appunto, il figlio di un desaparecido. Suo padre sparì nel 1977, quando lui aveva un paio d’anni. Credo che gli avessero trovato dei numeri “compromettenti” in un’agenda, una stronzata così. Per non seguirlo, sua madre Cristina, attrice, pensò bene di rifugiarsi in Spagna, a Madrid. Lui aveva 3 anni. Non so per quanto tempo sia rimasto apolide.

Anche stavolta, Juan (come lo chiama un amico comune che non si decide a presentarmelo) non mi ha delusa:

“Avrai una tomba, un funerale, e qualcuno deporrà fiori per te. Visto? Noi non siamo figli di puttana”.

Vi lascio con una splendida lezione di Botto su un altro che aveva perso il padre, e non ci poteva pensare.

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