È da un po’ che ogni volta che finisco un quaderno, un’agenda, un diario, mi accorgo sempre di aver lasciato due pagine bianche alla fine, giusto prima dell’ultima pagina.
L’ho fatto pure con l’agendina di un amico, che me l’aveva prestata perché appuntassi un bel testo che mi dettava. Alla fine, strappando i fogli dall’agenda, mi sono accorta di avergliela decimata.
Io capisco che, a questo punto, lo sticazzi sia in agguato. Ma ultimamente sono più strana del solito e cerco un perché a tutte le cose, come se non avessi imparato abbastanza che sapere i perché non serve a niente.
Irriducibile, sono andata su google e ho cercato in varie lingue “lasciare le pagine in bianco”. Non ho trovato una ceppa di spiegazione, ovviamente, ma il testo più carino era in inglese, una complicata descrizione su come ottenere pagine bianche da un documento digitale, “per iniziare un nuovo libro”.
Allora ho pensato che stessi cercando di fare la stessa cosa.
Sto scrivendo un libro di pagine bianche.
Prima e dopo c’è la strage di parole, i miei dubbi pensieri ossessioni e i soliti perché, perché, perché.
Poi giri pagina e ti ritrovi questo bianco perfetto.
La giri ancora e c’è l’ultimo peana a una ragione che mi serve ogni giorno di meno.
Ma il libro delle pagine bianche si fa strada imperterrito, col suo bianco perfetto, tra i fiumi di inchiostro e parole, beandosi della sua intonsa quiete.
No, qui sbaglio. Quiete non so, c’è bianco e bianco. E non mi riferisco solo ai quaderni in carta riciclata di Fnac, o alle setosità inedite di qualche agendina di lusso comprata per capriccio.
È proprio la qualità del non-testo a cambiare agenda dopo agenda, mese dopo mese.
Mi piacerebbe imparare a decifrare il mio libro delle pagine bianche, l’inchiostro simpatico che immagino contenga la mia vita e la vostra e tutti i perché che possiamo immaginare per trastullarci invece di vivere.
Ma comincio a pensare che non me li svelerà mai.
O forse comincio sul serio a sperarlo.