Non voglio rubare il lavoro agli psicologi, ma credo che a un certo punto della nostra vita ci allontaniamo da noi stessi. Dalle nostre sensazioni, quello che vogliamo fare davvero. Chi più chi meno, tra vergogna e sensi di colpa per avere dei desideri umani in una società che cerca la perfezione, prendiamo un po’ le distanze, ci dissociamo, letteralmente, da quello che vorremmo.
A qualcuno va meglio, ad altri va peggio. A me è andata malissimo e benissimo, insieme. Benissimo, perché sono stata fortunata, in molte cose, ora lo so.
Malissimo, perché questa fortuna, lontano da me, non tanto me la sono goduta. E la parte più divertente è che, se stai allontanato da te, non te ne accorgi nemmeno.
Deve succedere qualche amenità tipo, che so, crollarti il mondo addosso, o giù di lì. Oddio, se te ne accorgi prima è meglio.
E allora mi propongo come esempio. Di quello che succede se non vi accorgete in tempo che chi sta vivendo la vostra vita non siete voi, è una maschera che vi siete messi e che ormai va col pilota automatico, perché è di quelle maschere che è doloroso tenere, ma ancora più doloroso togliere.
Allora potreste finire come me, è una minaccia! Finire per fare scelte avventate “perché sì”, frequentare gente con cui non vi trovate bene “perché sì”, credere di aver raggiunto quelle mete che piacciano a tutti o che aumentino lo status sociale (un buon lavoro, un matrimonio felice, una svolta economica inaspettata) e di star bene così, anche se il vostro vero desiderio era aprire il famoso chiringuito sulla spiaggia. Che quando si apre per sfuggire alla responsabilità di ciò che volete davvero, è una gran fregatura; ma se è il vostro reale desiderio, fossi in voi non lo baratterei neanche con un posto di Imperatore Papanapulione con diritto di vita e di morte pure ‘ncopp’ ‘e lacerte (cit.). O potreste ritrovarvi a morire dicendo Rosebud, per la disperazione dei giornalisti 2.0 che vi devono “updatare” il coccodrillo.
Come accorgervi di questo prima che crolli tutto? Eh, bella domanda. La risposta è: ascoltatevi. Il modo per farlo, è una parola. Cambia da persona a persona. A me la meditazione ha aiutato, ma non è stata tutto. L’idea è mettersi comodi cinque minuti da qualche parte e concentrarsi sulla respirazione. Quello che mi ha fatto veramente bene, personalmente, sono stati i sogni. Farci caso, appuntarmeli, avere sempre un quaderno sul comodino. Questa parte che abbiamo allontanato ci manda messaggi quando siamo incoscienti, quando le barriere che abbiamo costruito tra noi e lei sono temporaneamente abbassate.
E vi assicuro che non è poi così male, eh, la nostra metà oscura, leggete un po’ che dice Jung dell’Ombra. In realtà è “oscura” perché rimane al buio della nostra coscienza, ma a volte, a dirla tutta, è anche migliore di quella che identifichiamo come “noi”.
Qual è il vostro idolo? E perché vi piace tanto? Sicuri che non avete le sue stesse caratteristiche? Ok, magari non così sviluppate, ma neanche questo è detto. Il fatto è che è più facile riconoscere le parti brutte del nostro lato oscuro, e autogiustificarci per averle ignorate, che ammettere con noi stessi di aver messo da parte anche quelle belle. E rispolverarle sperando che non sia “troppo tardi” (spoiler: non lo è mai) per prenderci la responsabilità di coltivarle.
Tutto ciò è molto bello, ma lo fanno in pochi, finché la vita non li costringe, perché come immaginerete non è proprio una passeggiata.
Ci sono controindicazioni, incongruenze, ecc. Ma meglio di vivere “la mia vita senza di me”, no? A voi la risposta.
E poi ci sono io a farvi da antiesempio.
Delle controindicazioni ci occuperemo nella prossima puntata.