La testa tanta che vi ho fatto all’articolo precedente è funzionale a quanto volessi ipotizzare adesso.
Il passato, si diceva, è di per sé narrazione. Possiamo decidere di manipolarlo e interpretare gli eventi come più ci fa comodo, per illuderci di star bene. Finendo magari per ripetere gli stessi errori.
Oppure possiamo usarlo come trampolino di lancio per reinventarsi, o, secondo una metafora che mi piaceva di più, come un parto di cui svanisca il ricordo del dolore ma resti il frutto, una nuova vita.
Non so, il pensiero mi ha consolato molto, nella fase più dura della mia crisi. Mi sono detta che non avevo le forze di “scegliere come reagire”, al contrario di un caro amico che ha passato molto di peggio.
Ma che, se intanto avessi imparato a seguire quella parte di me che “mi aveva avvertito” e che avrebbe saputo evitarlo, non sarebbe stato invano.
Vari mesi dopo, posso dire che non è stato invano. Il dolore non è un ricordo vago, magari, ma quello che ne ho fatto è qualcosa di vivo. È una me in costruzione. Spero di riuscire sempre a farlo, sempre che ce ne sia la possibilità (che non tutti i dolori la concedono).
Però attenzione. Cambiamo il passato ascoltandolo, non rivivendolo. Ripenso al Grande Gatsby e alla vita sacrificata a realizzare un sogno ormai sfumato, infranto da tutte cose che non potesse controllare: le circostanze (la guerra) e il libero arbitrio altrui (Daisy che alla fine si lascia convincere a sposare un altro).
La sua ossessiva ricerca del passato si sarebbe anche tradotta nella felicità, se si fosse “accontentato” della vita reale, di una Daisy tornata a lui, ma dopo aver amato un altro, una donna diversa dal ricordo e dalla fantasia che avesse avuto di lei.
E ricordate Goethe, ne Le affinità elettive, che biasima le coppie che realizzano un amore di gioventù, illudendosi di far rivivere i vecchi ardori?
Ecco, quello è il modo più sicuro di non cambiare il passato. Di riaffermarlo nella sua irreversibilità, proprio mentre cerchiamo di ripeterlo.
Se la vita ci dà una seconda opportunità, e per fortuna non è raro, non buttiamola cercandovi una compensazione al dolore sofferto. Va bene che io decida di dare un senso al passato condividendo con voi, su questo blog, le cose che mi sta insegnando. Ma se sperassi di tornare alla vecchia relazione per cancellarne la rottura, farei un danno a me, all’altra persona, e manderei tutto a monte.
L’unico modo per riuscire, in questa fantascientifica ipotesi, sarebbe tornare alla relazione nonosante la rottura, e non a causa di quella.
Meglio accettare di esserci messi in una situazione assurda, ridicola, di aver lasciato che ci chiudessero in un angolo o di essercisi messi da soli (ne parleremo in seguito), che rimetterci nelle stesse condizioni per il desiderio egocentrico e impossibile di cancellare l’accaduto.
Se la vita vi dà un’altra opportunità, vi invidio come una bestia (sorrido).
Ma rispondete al pratico questionario con cui vi viene consegnato questo regalo.
Perché lo vuoi rifare?
Per cancellare il passato e ricominciare daccapo.
Non puoi, è già successo. Sei una persona diversa, l’altro pure. Perché lo vuoi fare?
Perché ho sofferto molto, e che si ripari al torto che ho subito mi sembra il minimo.
Davvero? E chi si è infilato in questa situazione? Perché non ti sei fermata prima? Credi davvero che riprendendo qualcosa con livore la faccia meglio? Ripeto: perché lo fai?
Perché mi manca.
Ti manca questa persona o quello che cercavi di realizzare attraverso di lui? Lo sguardo di ammirazione che tu non riesci a darti allo specchio? Un’ultima volta: perché lo fai?
Perché sento che va bene così.
Anche se il passato non si cancella, se sarà difficile, se non riuscirai mai a trovare in qualcun altro l’approvazione che non ti dai tu?
Sì.
Se è così, in bocca al lupo. Riusciteci anche per me.