Ero indecisa se chiamare o no quest’articolo la stanza del dolore, riprendendo uno dei primi testi di questa mia svolta emo.
È che da un po’ mi perseguita un’immagine.
Cerco disperatamente qualcosa in una stanza molto grande e caotica, non lo trovo ma non voglio mollare.
Finché non mi devo rassegnare al fatto che no, non ci sia, e se c’è non è in mio potere vederlo, in quel momento.
Allora esco dalla stanza e mi accorgo che quanto cercassi era fuori, era sempre stato fuori.
Forse mi sarà successo in qualche festa organizzata con l’associazione, quando ci mettiamo in 10 di noi a cercare, che so, il microfono, o una cassa di birre, tra le cianfrusaglie degli altri collettivi che fanno capo al centro che ci ospita.
Quante volte ci è capitato di accorgerci che quanto cercassimo fosse direttamente in corridoio, che non l’avessimo mai portato dentro?
E non è che voglio vedere metafore dappertutto, ma inso’. Poi una legge Julia Cameron che ne La via dell’artista dice che noi ci chiudiamo in una stanza, la nostra Comfort Zone, e tutto quello che ci serve si trova fuori.
Per non parlare di quelle frasi che ho letto sulla rinuncia. Dappertutto: su facebook, nel romanzo di Chiara Gamberale, che cercavo in precedenza e finalmente mi sono procurata (sempre a Capodichino, è tradizione). Qualcuno argomentava addirittura che in certi casi la rinuncia fosse una conquista.
Dipende, ho annotato a matita sul libro della Gamberale. Se è rinuncia a cose che nemmeno vogliamo, ma continuiamo a cercare per orgoglio o abitudine o paura, ben venga. Se è “accontentarsi di quello che abbiamo”, per paura di procurarci quello che vogliamo davvero, non ci piace.
Infine, mi viene in mente quella storiella usata da tutti gli autori di self-help, e allora perché non riciclarla io che non ci guadagno niente (anche se vedete banner, i soldi se li pappa WordPress): nottetempo, un tipo cerca le chiavi di casa sotto un lampione. Un passante gli chiede se le abbia perse proprio lì, e lui risponde di no. E allora perché le cerchi là sotto?, insiste il passante. Perché qui c’è luce, spiega lo scemo.
Quando cerchiamo di far sì che le cose vadano esattamente a modo nostro è come se stessimo cercando qualcosa esattamente dove non c’è, proprio perché lì è più comodo provarci. E se, guarda un po’, non troviamo nulla, possiamo sempre accusare la sfiga. Ma, a differenza del protagonista di un racconto, noi non sappiamo come andrà a finire. Non sappiamo se, a furia di cercare, prima o poi troveremo, o troveremo un succedaneo di quanto cerchiamo, o qualcuno entrerà nella stanza a portarcelo, o ci dimenticheremo della ricerca e ci arrangeremo con quello che abbiamo.
Il momento in cui rinunciamo potrebbe essere il più saggio della nostra vita o il più stupido.
Ma di questo parleremo nella prossima puntata.