Ora, perché m’importa tanto della bellezza.
Potrei scrivere: perché sono una donna. Nata in una società in cui la bellezza è ancora un fattore di potere, per le donne, o uno standard da raggiungere, qualcosa da procacciarsi o con cui fare i conti ogni giorno, nell’impossibilità di essere all’altezza di modelli che al femminile si traducono nella solita idealizzazione feroce, che sia di zoccola o di madonna.
Ma questa supercazzola la lasciamo a discussioni sociologiche che qui non mi competono. Questa è la realtà per milioni di donne (e ultimamente di uomini), e ciascuna reagisce a modo suo. La cosa più importante è capire cosa significhi la bellezza per noi, per la nostra storia personale.
E io ero una di quelle bambine che dici, magari esagerando, “dovrebbe fare la pubblicità”. E siccome ero pure una bimba sveglia (me so’ perza p’ ‘a via) intuivo che la maggior parte dell’attenzione che mi dedicavano gli adulti, anche i perfetti sconosciuti, fosse dovuta a questo. Ergo, devo aver pensato, se non sono bella non sono più nessuno. Infatti, l’avrò già detto, mentre aspettavo di vedere mia mamma nel reparto maternità (e mio fratello si approssima alle 30 primavere) a domanda “Che vuoi fare da grande” risposi convinta “Miss Mondo”. Anche perché il posto di Madonna (l’originale, non la cantante) era occupato. E che te ne fai, mi venne risposto. Ti dicono “sei bella”, e poi? Come, e poi.
L’ “e poi” dovetti chiedermelo più tardi, coi denti cresciuti un po’ alla rinfusa, un naso improvvisamente uscito dagli angusti confini dell’infanzia, e lo scherzo della natura (e del ciclo precoce) di essere pin-up a 9 anni e minuta a 13: è frustrante vedere le coetanee cambiare mentre tu rimani sempre uguale, ti sembra di perdere una maratona che non hai mai neanche corso, prima ancora di avere gli strumenti culturali per dirti che non vale la pena correrla.
Per questo penso che, più dei discorsi sociologici su una realtà che si fa sempre più complessa e superficiale (e che comincia ad affliggere anche gli uomini, coi modelli di bellezza irraggiungibili), bisognerebbe partire da noi, dalla nostra storia.
Io sulla bellezza ho avuto la mia rivelazione grazie a due gemelle, identiche e splendide entrambe. Conoscevo solo quella misteriosa e tormentata, però, ovviamente amica mia.
L’altra la incontrai per caso in strada e… Immaginate la classica figuraccia che si verifica in questi casi. Lei, abituata, la prese con filosofia, mi diede due baci allegri e rise con me dell’equivoco. In quel momento, mi accorsi che era più grassottella della sua gemella, vestita in modo meno originale, e forse anche più, non so, più propensa a rimanere inosservata rispetto all’evidente “alterità” della quasi-sosia.
Ma in un certo senso era più bella, o di una bellezza diversa, più affabile, più attraente in senso letterale. Non capivo perché, finché non le guardai meglio gli occhi. Erano sereni, senza le complicazioni della mia amica “tormentata” come me. E il sorriso non era nervoso, ma aperto, sincero. La ragazza che avevo davanti mi stava insegnando la differenza tra lo star bene con se stessi ed essere insicuri.
E questa ovvietà da salotto, tradotta su un volto umano che ti si profila davanti, è una piccola rivelazione, meglio di Photoshop.
Delle sue conseguenze parleremo tra qualche giorno