Vi ho ingannati: in questa breve conclusione non parleremo, ancora una volta, di naufragi. Delle crisi che ci costringono a uscire dall’angolino in cui ci siamo riparati da soli, prigionieri delle nostre stesse paranoie.
Volevo solo ribadire una cosa strana: nell’angolino ci rimaniamo anche quando le cose vanno bene. Per inerzia e ostinazione, pronti a respingere ogni evidenza che la vita sia gestibile. E per gestibile, ripetiamo fino allo sfinimento, non si intende né meravigliosa né disposta a darci tutto quello che desideriamo.
Ritornando all’idea di cosa ci dia sollievo: quando le circostanze ci tolgono quelle cose che non vanno, un lavoro deludente, un progetto fallito, una relazione – tortura (che da soli, spesso e volentieri, non riusciamo a farlo), ci sentiamo perduti. Quella cosa ci faceva star male, ormai ci toglieva più energie di quante mai ce ne avrebbe date se fossimo finalmente riusciti nell’impresa. Ma non c’è niente da fare, senza, per un bel po’, stiamo peggio.
E allora ci attacchiamo come cozze alla speranza che tutto ciò vada come speravamo, che le cose finalmente e per miracolo prendano il corso desiderato, che l’amore trionfi anche se contorto, che il riconoscimento dei capi arrivi anche se siamo del sesso sbagliato e sappiamo più lingue di loro.
Sembriamo quei condannati a morte di cui parla Viktor Frankl, che avvicinandosi la forca si fanno prendere da questa convinzione irrazionale che non può essere davvero la fine, che arriverà loro la grazia in extremis.
Nel nostro caso, però, la grazia consisterebbe nel continuare nel nostro ergastolo, nella gabbia da cui guardare il mondo che ci siamo costruiti da soli, magari per difenderci da una minaccia reale, anche quando questa minaccia ormai è passata (e qui il pensiero va, invece, a quei soldati delle guerre del Novecento, persi nella jungla, che sono usciti allo scoperto solo dopo decenni dalla fine del conflitto).
Nel nostro caso, dovremmo proprio rassegnarci: non solo siamo condannati. Ma non siamo neanche condannati a morte.
Siamo condannati alla vita.
Ci tocca, proprio. E sì, quella ragazza così simpatica e interessante ha sorriso proprio a noi, nonostante i nostri discorsi sul non saper sedurre.
E sì, dopo aver tanto cercato lavoro, all’associazione umanitaria in cui studiamo lingue cercano davvero volontari stipendiati. Non sarà quello per cui abbiamo studiato, ma è un inizio.
È una condanna severa, lo so, la condanna a vita.
Ma state tranquilli, scontatela tutta. La morte si sconta vivendo, no?
E vi porterò le arance nella vasta galera che ci tocca, vasta quanto il mondo.
Quando non si è in cattività, chissà perché, sono ancora più buone.
Ho appena letto che cercano personale in una bella agenzia di organizzazione eventi di arte nella mia città, mi è venuta tanta voglia di “tornare a casa” , nonstante tutti (O SOLO IO??) dicano che non troverò mai il lavoro che voglio perchè ho studiato una di quelle cose che non portano a niente. Scienze delle Merendine…beh sono pure le 4, fammi accendere la Tv e scartarne una, rigorosamente senza glutine (risultato dello stomaco intollerante in 10 anni di “fare dell’altro”)… ti voglio bene Maria. Grazie per quello che scrivi.
Ma grazie a te! L’importante è che mettiamo in comune quanto impariamo dai momenti di crisi e dalle “illusioni perdute”. Senza pretendere di voler vincere il Nobel solo perché ce lo diceva la nonna (ehem), senza fare la fame pur di trovare solo lavori “consoni” ai nostri sogni, noi proviamoci. Io non so se pubblicherò mai un libro, so che mi sveglio ogni giorno e scrivo. Se scrivessi un libro e nessuno me lo pubblicasse, lo pubblicherei gratis tipo ebook. Insomma, proviamoci, anche se non sarà proprio quello che immaginavamo. Non lo è mai anche se poi il Nobel lo vinciamo.