annoE no, non voglio rompervi le scatole con l’anniversario. Gli anniversari sono numeri, ti ricordano solo cosa è successo e perché.

Ma due parole vorrei scriverle, a un anno dall’inizio della crisi più lunga e triste della mia vita (la peggiore, se non mi avesse già trovata preparata). Proprio perché il brutto degli anniversari, e il bello, è che ti fanno misurare le cose. Il percorso che hai fatto, per esempio. Quanti chilometri e notti insonni hai camminato da qui a là. Quante persone hai incontrato, intanto, per strada, quante buone.

Gli anniversari brutti servono a dirti se ne è valsa la pena, di muoversi da quel momento di dolore perfetto, se a sporcarlo col brutto vizio di tirare avanti abbiamo avuto una buona idea.

E, spoiler: claro que sí. Abbiamo avuto un’ottima idea.

Per questo vi scrivo.

Per questo vi dico, con la sola forza della mia voce, con nessun’altra autorevolezza che la mia: se c’è qualcosa della vostra vita che volete cambiare, che sentite non vada, non aspettate la tranvata. Non aspettate di essere mollati per qualcuno che credano di amare di più (in realtà, che credano di amare), non aspettate che vi convochino insieme ai colleghi e vi licenzino in tronco perché “la gestione gli è sfuggita di mano”. Agite. La gente aspetta di naufragare, per agire.

Voi non fatelo. Agite e basta.

Scoprirete che, in molti casi, nella crisi vi ci siete infilati voi. Che ci sono cose che non potevate impedire in nessun modo (un amore mai nato, la morte di una persona cara), ma potevate evitarvi la deriva che le ha precedute, o seguite.

E se vi chiedete quanto tempo ci metterete, se vi conviene, in fondo, lasciare una tristezza statica per un incerto futuro di lavoro solitario (perché certe cose, nonostante l’appoggio altrui, si fanno in gran parte da soli), allora vi dico che, anche quando c’è molta strada da fare, un anno già cambia tutto.

Un anno dopo le persone, le cose, gli eventi che hanno causato tanta distruzione è come se non contassero più, di per sé, avete presente? Quando vedete un ex e vi dite “veramente mi ha fatto patire tanto?”. O la scuola delle suore e… “veramente avevo paura di quelle tappette baffute?”. No, il minimo comune denominatore siete sempre stati voi.

Un anno è abbastanza per smettere di farvi danni e cominciare a esserlo davvero. A essere voi, dico.

E a scoprire che abbiamo un bel criticare gli altri, specie quelli che ci fanno paura, ma il fatto che “piangiamo nella stessa lingua” è il più vero dei luoghi comuni, insieme al fatto che nella stessa lingua ridiamo pure.

Per me è l’empatia, il regalo più bello di quest’anno, un regalo che di anni così ne vale due (si scherza, eh, per gli dei in ascolto), che mi fa dire che non sono mai stata così bene con me stessa, e con gli altri.

Mai così sola, e mai così insieme.

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