trottolaEbbene sì, faccio ancora il gioco della Coca Cola. Quello che stacchi la linguetta e intanto fai A, B, C… La lettera che ti esce è quella del lui che ti pensa (mado’).

Ormai lo faccio in automatica, senza pensarci, semplicemente non ho l’abitudine di staccare la linguetta in uno strappo solo.

Ma questi giochini scemi da salatini e Smemoranda nel doposcuola mi accompagnano spesso.

Per esempio, per l’esasperazione del mio migliore amico, quando mi cade un peletto dalle sopracciglia faccio ancora il gioco di stringerlo tra due dita, il mio e quello di chi mi subisce, ed esprimere un desiderio: se, staccandoci, me lo ritrovo sulla mia mano, si avvera il mio. Se no…

Ultimamente ho toccato il punto di non ritorno: quest’ultimo gioco lo faccio da sola.

Coi bivi che si presentano nella mia vita da adulta.

Mi lascio indietro questo lavoro / faccio un ultimo tentativo. Giro pagina / do un’ultima chance al passato.

Cose così, insomma, da chiamare la neuro.

Il gioco del sopracciglio non ingarra quasi mai, ovviamente, ma il punto è che, messe sul piatto della bilancia del caso, queste scelte un po’ si equivalgono.

Cioè, sembra sempre che dobbiamo prendere chissà che decisioni irreversibili, ma nella maggior parte dei casi si può tornare indietro. A pensarci bene, poi, se ci dobbiamo stare tanto a pensare i casi sono due: o una scelta è molto migliore dell’altra, ma abbiamo troppa paura (ragione in più per prendere quella), o le due possibilità, più o meno, si equivalgono.

Quindi, è il caso di tormentarsi tanto? Specie se consideriamo che quasi nulla di quello che scegliamo è irreversibile. Il problema è fare tante di quelle scelte sbagliate che ci mettiamo in un labirinto da cui è difficile uscire.

Ma per evitare quelle c’è il gioco dei giochi, l’unico che possiamo ancora fare a 30 passati senza passare proprio per idioti.

Quello delle onde, al mare. Quando arriva il cavallone formato tsunami e nel fuggi fuggi generale restiamo là impavidi, senza macchia e senza paura, ad affrontarlo. Ovviamente, ne finiamo travolti.

Ma la nostra tattica, qual è? Opporci alla corrente? Molto coraggioso, ma, ve ne sarete accorti, poco divertente. Alla fine siamo così piccoli di fronte alle ondate del caso, che ci travolgono uguale, l’eroismo diventa nella migliore delle ipotesi un tuffo a cufaniello (a sacco di patate) e finiamo per bere più acqua salata di quanta ne abbiamo mai usato per lessarci la pasta.

Allora, che si fa? L’onda, si cerca di cavalcarla. O meglio, seguirla. Seguire la corrente. Quando ti capita una simile meraviglia non ci vuole una tavola da surf, per provarci. Basta il coraggio di non mettersi al riparo e di imparare a essere docili, quando si lavora per noi.

E le correnti, ogni tanto, lavorano per noi.

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