Semplicemente, non sappiamo come si fa.
Come si ama, senza cadere nel solito loop? Quello dell’illusione, del piacersi all’inizio, di aspettarsi chissà che cosa dall’altro, di scoprire che la vita non è come ce la immaginiamo solo perché così vogliamo, di non avere il coraggio di lavorarci su, e di lasciarsi odiandosi.
Se poi siete come me, come si ama senza abituarsi all’orrore come pane quotidiano? Senza vivere aspettando un messaggio che non viene mai, oppure arriva con tre giorni di ritardo, prima che si presenti qualcuno a cui scriverà ogni giorno e che aspetterà con la stessa angoscia con cui noi lo aspettiamo ora?
Come si arriva a capire che l’amore è qualcosa di diverso da questo gioco, da questa caccia autoreferenziale che serve solo a farci capire che siamo degni di essere amati, quindi ci dà una certezza che avremmo dovuto procurarci noi, e che come i compiti copiati è una lezione che non facciamo mai nostra?
Perché l’amore condiviso sul serio non si nutre di insicurezze altrui, non ha bisogno di sentirsi potente misurando quanto sappiamo attrarre l’altro nel nostro mondo. Parte da un’idea di completezza in noi, che magari non sarà perfetta, ma fa capolino.
E meno male, perché ci spiazza, qualcuno che non ci faccia la manfrina dell’apparire e sparire solo quando gli fa comodo, qualcuno che ci sia davvero e abbia l’inquietante proposito di restare.
Semplicemente, è questione di abitudine.
Ci siamo abituati all’orrore, possiamo abituarci anche a questo.
Anche a star bene, a essere noi, a scoprire quanto possiamo diventare se c’è qualcuno a fare il tifo per noi, un tifo sincero e genuino, non un preoccupato osservare quanto potremmo arrivare a svincolarci dalle voglie altrui.
Cerchiamo di abituarci a questo, devo ripetermi ma è una figata.
Il guaio è che, se abbiamo passato tutta la vita a sentire che l’amore sia lotta, conquista dell’attenzione, ci è difficile identificare questo come amore, adesso.
L’indizio è renderci conto per una volta che quello che stiamo facendo, lo stiamo facendo in due, sul serio, non sono monologhi incrociati tra due esseri troppo soli per stare davvero bene insieme all’altro.
Ora abbiamo imparato che l’unica solitudine è non avere nulla da condividere, e per fortuna di quello, di vita da insegnare e imparare insieme, ne abbiamo a pacchi.