È da un po’ che sento amici che vogliono andarsene da Barcellona, o cambiare casa e lavoro, o lasciare l’Italia. Ma non ci provano sul serio.
Non ci riuscirebbero sicuro neanche se ci provassero, figurarsi a starsene lì, titubanti, sulla soglia di una vita che immaginano solo, senza avere il coraggio di inseguirla.
Anche io ho deciso di dedicare il mio tempo a scrivere, ma c’è sempre qualche altra cosa a distrarmi: un esame per ottenere qualche diploma, un’emergenza sedie alla sagra della Caciotta Fetecchia, un amico in difficoltà che deve proprio sfogarsi con me…
L’importante, sembra, è restare sempre sulla soglia di quello che si vuole fare, sospesi tra due mondi. Tra questo che non abbiamo ancora lasciato, e di questo passo non abbandoneremo mai, e un altro che però non rincorriamo sul serio. Ci limitiamo a renderci impossibile la vita di tutti i giorni, a rifiutare qualsiasi lavoro serio perché “tanto tra poco parto”. E non partire mai perché “non lavoro e non ho abbastanza soldi”.
Il peggio forse è quando dal nostro conflitto interno dipendono in qualche modo le scelte di altri, della fidanzata che vorrebbe sapere se partiamo o restiamo, dell’amico che ci propone di aprire il famoso bar sulla spiaggia, e intanto che ci decidiamo perde soci realmente interessati. E l’elenco proseguirebbe all’infinito.
Cosa otteniamo, restandocene sulla soglia? La certezza di non fallire. Affidando i nostri desideri alla botta di culo: il posto che si libera a Dresda o il Grande Amore della Nostra Vita che ci costringe a restare in loco per tutti i cinque minuti che durerà.
E se aspettiamo la botta di culo, siamo certi di non sbagliare mai: potrebbe venire come no, e intanto si vivacchia con questa mezza speranza, come i vecchietti al banco lotto catalano, che aspettano di vincere da quando erano giovani e capaci di cambiarsi la vita da soli.
E se invece di giocare con la sorte ci rispettassimo? Facciamoci la fatidica domanda: “Se fallissi, sarebbe questo grande problema?“.
No. Se falliamo facciamo un’altra cosa. O torniamo indietro e ricominciamo. Perfino quello sarebbe meglio di quest’inattività travestita da movimento.
Muoviamoci davvero. In una direzione o nell’altra.
Quando sentiamo di doverci muovere, non importa neanche quale strada prendiamo. Se siamo così indecisi, o le strade si equivalgono, o ce n’è una che abbiamo paura a prendere.
Ma anche prendendo quella sbagliata, prima o poi ci arriveremo.
L’importante è non restare sulla soglia.
Riunito è tutto ciò che vedemmo, | a prender congedo da te e da me: | il mare, che scagliò notti alla nostra spiaggia, | la sabbia, che con noi l’attraversò di volo, | l’erica rugginosa lassù, | tra cui ci accadde il mondo.
– Celan, Di soglia in soglia.
Mi è venuto in mente lui, inevitabilmente.
E m’hai trattato! :*
Barcellona e’ una soglia come tante altre. Sinceramente il fattore lavoro/soldi e’ molto piu’ ampio e non avere n’è l’uno ne l’altro oltre la soglia costituisce un reale LIMITE (ed una corrispondente titubanza più che nel fallire in un salto nel vuoto: chi mi paga l’affitto? Chi mi da uno stipendio o del cibo ed acqua?). Credo questi bisogni primari debbano essere soddisfatti per dedicarsi a tempo pieno ad attività artistiche od intellettuali. Non è sempre comodità. Poi che siamo bravissimi nell’arte di lamentarci e a trovare lavoro di merda che ci succhiamo energie, questo lo condivido… Namaste’!
Vedi, so che la questione economica è molto difficile, ma spesso mi sembra che perfino questa difficoltà oggettiva venga usata come scusa: conosco persone che a partire non vogliono fare il salto nel vuoto, ma spendono più soldi nel restare a Barcellona a pagarsi con un part-time un contratto d’affitto reso stratosferico dalla crisi (pagano la stessa cifra da tanti anni e intanto lo stipendio diminuisce). Per questo dico, senza nulla togliere al peso della questione economica, temo che riusciamo a trasformare anche quello in una scusa. Come se avessimo bisogno di scuse per non agire 🙂 . Namaste’.