lovewinsLo confesso: ci voleva Mad Men, prima stagione vista in ritardo, perché scoprissi il “gingolino” della campagna elettorale di Kennedy del 1960. Una cosa che fa un po’ sigla di Bim Bum Bam e un po’ canzone scartata allo Zecchino d’Oro. Ma, come sempre, il volpino Don Draper ci vede più lungo di me: per lui lo spot di Kennedy fa presa facile e fa pensare al ritorno di giorni felici. Tutto il contrario del faccione di Nixon che descrive le ripercussioni fiscali di un’eventuale vittoria dell’avversario. Sai che palle.

Morale della favola: si fa molto di più regalando una visione, che ragionando pacatamente su ciò che NON vorremmo. La felicità, per quanto utopica, fa molto più presa della paura.

Più di 50 anni dopo, non ho mai rivelato così spesso di avere un master e un dottorato in Studi di Genere, non perché mi abbiano dato mai ‘na gioia, ma per annunciare a chi ancora ci crede che la teoria del gender non esiste. E come tutti i parti della paranoia è inventata così male che ci avrebbe fatto sbellicare, coi compagni di master, nella sala mensa dell’Università di Manchester, davanti alla nostra brava jacket potato ripiena di ogni schifezza. Ma hai voglia di spiegare tutto questo (omettendo la jacket potato) su siti di fondamentalisti cattolici e genitori nel panico. Hai voglia di ragionare, fornire dati, confutare argomentazioni…

Niente, a dirmi che ero sulla strada sbagliata ci voleva il faccione di Obama, dopo la decisione della Corte Costituzionale americana di legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso, in nome dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.

È stato leggendo le notizie che ho visto per la prima volta l’hashtag #lovewins. Confesso che ho pensato: e che è, la sigla di Mio Mini Pony? Cioè, semplifichiamo un concetto così importante per la vita di tutti noi con due parole da jingle pubblicitario?

Ovvio che sì! Cosa c’è di più semplice, sintetico e immediato di un’idea simile? Le spiegazioni sono sempre possibili, adesso bisogna dare una visione, un’immagine.

Quello che cercavo di fare io con trite analisi e dati (perfetti in un saggio, meno in chat), me l’ha sparaflesciato come inutile l’arcobaleno che ha invaso la Casa Bianca e, ovviamente, facebook.

Insomma, nel ’60 come nel 2015: inutile dirci cosa NON vogliamo essere, meglio parlare sempre di cosa vorremmo.

Anche nella vita di tutti i giorni.

Ripenso agli amici scaricati all’improvviso e alle loro ripicche un po’ ingenue, disperate: foto su fb che suggeriscano grandi conquiste, dichiarazioni sfrontate ad amici dell’ex, frecciatine assortite…

In questi casi, se lo scopo della nostra vita diventa vendicarci dell’ex, invece di trovarcene uno più stabile emotivamente, possiamo avere la nostra vendetta, ma non la nostra felicità.

Invece di passare il tempo a rosicare su rabbia e dolore, regaliamoci la speranza di una nuova vita.

“La teoria gender non esiste” è un messaggio che pretende razionalità su un argomento inculcato irrazionalmente, mediante paura e paranoia. Come l’idea che le ruspe risolvano la crisi o che i diritti di qualcuno vadano a ledere quelli di qualcun altro. Meglio dire “quello che combattete è lo stesso amore che state cercando voi, e vincerà lui, statene certi”.

Credo che, senza rifare gli orribili coretti di Kennedy, dovremmo riappropriarci della semplicità. E di un ottimismo che non sia più la finta utopia di imbonitori che ci infarciscono di scemenze per continuare a farsi i fatti propri, o la triste bugia che debellando chi è diverso da noi (“noi” chi, poi?) risolviamo tutto il resto.

Non c’è niente di meglio che una visione, per portare avanti un progetto. Immaginiamolo realizzato, immaginiamoci realizzati in quello. Non viviamo a partire dall’odio e dalla paura.

Puntiamo al coraggio e, per una volta senza riserve, alla ricerca della felicità.

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