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Dopo anni immuni alla caciara virtuale che suole scatenersi su facebook, con le elezioni comunali a Barcellona ho riscoperto una rabbia argomentativa che non sapevo di avere. Senza aver sostenuto chissà quanto Barcelona en comú, la lista che ha vinto in barba alle previsioni dei “cauti”, mi  scoprivo molto arrabbiata con gente che criticasse il movimento perché sì, o perché si sentiva furba e controcorrente a non cedere all’entusiasmo generale.

Lo so, vi suonerà familiare rispetto a quelli che, a proposito di Grecia, si vantano di non essersi “lasciati coinvolgere dalle ideologie”, dunque di essere gli ultimi depositari del buonsenso (quando io non sono né riuscita a festeggiare per il NO né a sentirmi furba per non averlo fatto, senza che riesca a chiamarlo indecisione).

Nel caso del comune di Barcellona, su facebook leggevo: battute trite e ritrite sul cognome della candidata a sindaco (che ricorderebbe il nome di una bevanda al cioccolato); le illazioni di chi aveva votato Pisapia ed era rimasto deluso, concludendo che a noi sarebbe successo altrettanto; il solito “staremo a vedere MA sono scettico” che è la paraculata per eccellenza, va bene per tutte le stagioni e tutti i partiti politici e intanto ti fa fare lo splendido perché sei “fuori dal koro”.

Non mi rendevo conto, però, che dietro la mia genuina insofferenza ci fosse una considerazione molto personale: criticavo chi sceglieva di non scegliere, e si sentiva un eroe, per questo, perché io, intanto, sto scegliendo. Nella mia vita, dico.

Sto prendendo decisioni, il che significa quasi sempre arrivare a un bivio (ma più spesso le strade sono 3 o 4) e prendere una strada, chiedendosi invariabilmente come sarebbe stato imboccare le altre.

Un’operazione che non amavo fare perché, nonostante sia penoso, restarsene in disparte e non scegliere mai è infinitamente più facile. Più dannoso, anche, ma il terrore dell’alternativa (prendersi le proprie responsabilità e rischiare di scegliere male) è talmente forte che meglio quello.

Io, invece, decido, e non mi sento affatto saggia, per questo. Anzi, spesso mi sento una scema perché a volte i risultati sono scarsi, perché sto peggio a scegliere che ad aspettare la bacchetta magica senza muovere un dito.

Forse è questo che ci blocca, al momento di prendere decisioni: la paura che ci si sbatta tanto per poi ritrovarsi peggio di prima. L’eterno indeciso, invece, è diventato una specie di eroe postmoderno che sopravvive anche alla nostra epoca, assolto da una crisi che giustifica titubanze ed esitazioni.

E non ha tutti i torti. Spesso decidere è una fregatura. Le mie arrabbiature con chi non lo fa un po’ sono dettate dall’invidia (a volte vorrei tornare a imitarli) un po’ sono dovute, devo ammetterlo, all’idea che a queste persone possa sfuggire qualcosa: che tutta st’indecisione sia spesso una montatura, una posa.

Che, mentre io non so dove andrò a parare, e magari finirò male, loro possono essere quasi sicuri che di questo passo la situazione sarà sempre uguale: il quasi è dettato da botte di culo/imprevisti della sorte che sono rari e che spesso portano soluzioni a metà (es. gravidanza inaspettata che risolve un rapporto incerto, ma non crediate che questo faccia innamorare l’indeciso dei due).

Allora sarà questo: ultimamente mi sento chiamata in causa, quando uno sceglie di non scegliere, perché il contrario è una faticaccia, dai risultati incerti. Ma sono genuinamente convinta che sia la cosa migliore da fare, che prima lo si fa e più soddisfacenti saranno i risultati.

La questione sarà adesso non cercare d’imporre la mia idea agli altri. È una gentilezza che lascio a loro.

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