Vi ho già grattugiato le gonadi con la storia della strada che percorrevo quando vivevo in paese, dopo aver accompagnato a casa un mio amico. Era un tragitto che non conoscevo a memoria, non coscientemente, tra viuzze buie e un po’ isolate che erano quasi piacevoli da attraversare (e no, mi spiace per quelli che “le donne di notte a casa o accompagnate”, mai-successo-niente e non è stato culo).
Ma trovavo sempre la strada di casa.
E ai tempi la cosa aveva un che di magico, come quando cominciai a leggere prima di arrivare alle elementari e mi sembrava un miracolo che quei segni stampati su un libro di lettura avessero improvvisamente un senso.
Anche con la strada del ritorno succedeva questo: la trovavo sempre, non mi accorgevo del lavoro di memoria che facesse intanto il mio cervello.
Ero fatta così, mi perdevo i passaggi. E questo ha conseguenze molto gravi.
Mentre gli altri vedevano i nessi causa-effetto, magari non sempre obiettivi, ma funzionali alla loro esistenza, io ci vedevo tutto il resto.
Capivo che era molto logico che quelle strade, infilate una dietro l’altra, mi avrebbero portata a casa, ma intuivo che non era detto che fosse sempre così. Che un imprevisto, una distrazione, una ragione qualsiasi mi avrebbero portato altrove.
Nel delirio dei vent’anni mi sentivo complementare al mondo, come certi scemi del villaggio che sembrano messi lì a ricordare ai compaesani che la vita è inspiegabile e allo stesso tempo, a volte, nessuno la spiega meglio di loro.
Ora che sto cercando d’integrare la parte causa-effetto, il mondo non mi ricambia apprendendo l’irrazionalità. Fa finta. E in fondo lo capisco.
La prima volta che lessi un libro che univa la vita fantastica a quella reale, incontrai famiglie latine segnate dalla sorte, zingari girovaghi e sangue che una volta scorso percorreva la strada di casa ad avvisare della morte del condannato. E pensai: “Che è sta schifezza?”. Era Cent’anni di solitudine.
Quello che più temo, adesso, è perdere la strada di prima, quella dell’intuizione, dell’inspiegabile. La consapevolezza che per qualche strana ragione quel percorso un giorno possa portarmi in ben altro posto, magari nella casa della fata che accoglie il Martino Testadura di Gianni Rodari
E chi non crede nelle fate, dovrebbe rileggere Peter Pan.
Con tutti i peter pan che ci sono in giro, non vedo perché non dovrebbero esserci fate.