A una mia festicciola di compleanno, di quelle che dai quando la tua età non raggiunge le due cifre, c’era quest’amichetta che proprio non voleva mangiare la torta.
Era lì di malavoglia, al seguito dei genitori, e si rivelò stranamente incapace di tagliare la sua fetta di dolce, rifiutando ogni aiuto. Era una millefoglie bella tosta (una passione per me inspiegabile degli anziani di casa), quindi una scusa ce l’aveva. Ma gli adulti presenti capirono ben presto la solfa e il piatto le fu prontamente sottratto.
A quel punto, però, mi ribellai io, affetta da una goffaggine che mi portava a un’estrema compassione verso i pochi più imbranati di me.
Cominciai quindi a difendere l’onestà della commediante, che per colpa mia dovette fare un secondo tentativo, altrettanto fallimentare, prima di essere lasciata in pace anche da me. Credo che non capii mai che fosse una commedia, pensavo solo: “Oggi proprio non riesce a mangiarsela”.
Adesso le feste che organizzo sono un po’ diverse: un pranzo per 40 per il 1º maggio, un mercatino di beneficenza con buffet, proiezione e rinfresco con offerta a piacere. I tanti che mi aiutano, per fortuna, sono più efficienti di me, ma anche in questo tipo di feste c’è il reparto impediti. Sarà che, guardate che pretese, se t’incarichi di portare le bibite mi aspetto che tu venga un po’ prima, per metterle in fresco. Sarà che se prepari l’antipasto do per scontato che, per un pranzo che cominci alle due, ti presenti almeno all’una e mezza e non alle due e un quarto.
Ma i primi anni ci sono state scene che a riprenderle sarebbero diventate virali: io che bestemmiavo in catalano con l’unica presente che mi capisse, maledicendo tutta la genealogia del ritardatario, mentre gli altri continuavano rilassati a preparare, rimproverandomi pure: “Vabbe’, non lo sai, che è così?”.
Allora a consolarmi veniva quella che non aveva fatto un cazzo e che non vedevo mai a riunione, solo per chiedermi: “Perché ABBIAMO scelto questo locale, per l’evento? Non c’è atmosfera”.
Neh pereta, facevo per cominciare. Ma venivo trattenuta: lo sai, com’è fatta, non ha neanche il cellulare, è già tanto che abbia trovato il posto.
Allora mi devo arrendere all’evidenza.
Io ho la pretesa di trattare le persone come esseri senzienti.
Ci sono persone che per motivi vari non vogliono essere trattate così.
Come la mia compagnella d’infanzia e la sua fetta di torta inespugnabile. Magari si tratta di veri indecisi, che godono di questa condiscendenza collettiva. Così non devono spiegare che non desiderano la torta e nessuno si sorprende se, una volta accettatala, non la mangiano. Accettano lo status di inaffidabili in cambio di una libertà che non credono di potersi conquistare altrimenti.
Magari conviene loro dirsi di non essere capaci di far nulla, per non rischiare un possibile fallimento.
Oppure, semplicemente, ci marciano. Così s’impegnano il minimo e il personaggio bohémien del simpatico svitato, o della sognatrice che spaccia l’inaffidabilità per emancipazione, è il loro modo di stare al mondo: sempre incompleti, sempre in potenza. Nella loro vita ci dev’essere un “peccato che”. Peccato che non abbia tempo, che non abbia memoria, che non abbia abbastanza soldi per viaggiare (detto magari da qualcuno che li scialacqua in false katane giapponesi).
Peccato comunque, sembrano dire, che io non possa.
Altrimenti sarei un genio. Altrimenti avrei finito da un pezzo l’università. Altrimenti mi avrebbero finalmente riconosciuto il talento, al lavoro.
Altrimenti avrei detto che la torta non la voglio, e mi sarei buttata sulle patatine.
Ma no, restano lì a recitare quella commedia con se stessi e con gli altri, che fanno da spettatori complici.
La mia posizione, invece, è problematica: credo di rispettarli aspettandomi da loro lo stesso che dagli “altri”, ma così non rispetto la loro volontà di essere trattati come bambini.
Infatti raramente mi sono stati grati, e si capisce, per questa mia pretesa. E lasciami stare, sembravano dirmi, a me piace così, che vuoi.
Fantastico. A me non piace assistere alla tua pantomima. E non pretendo certo di cambiare i tuoi gusti attoriali, ma tu non pretendere di cambiare i miei di spettatrice.
Quello che chiedo è che, quando la vita di persone così si incrocia con la mia, ci si venga incontro a metà strada. Non sono d’accordo con quegli psicologi che riconducono la tolleranza di fronte a questi atteggiamenti ad “accettare gli altri come sono”.
A me pare un ricatto morale. Se interagiamo veniamoci incontro a metà strada. So che è più importante l’amicizia che un pranzo perfetto, ma se mi lasci appesa con 40 invitati perché non ti sei segnata l’indirizzo, non so se chiamarla amicizia e nel dubbio frequento amici più empatici o meno distratti.
Senza dimenticare di offrirti un caffè giusto sotto casa tua, per essere sicura che non arrivi tardi.
E se lo fai anche così, ti ordino una millefoglie e non me ne vado finché non l’hai finita.