Quadrinapoletano

Da Se i quadri parlassero napoletano, su facebook

 

Dovete sapere che da un po’, per il master, studio arte contemporanea, materia della quale non ho mai capito una ceppa. Sono tra quelli che, guardando un quadro, fanno pensieri simili a quelli del signore qui sopra. Anzi, a essere onesta capisco anche l’assassinio della pittura predicato da Miró, o l’impossibilità di essere naturalisti esemplificata da Klein, ma di fronte a tanto struggimento, e alle interpretazioni lacaniane del prof, confesso di reagire desiderando intensamente la pausa caffè.

Mi ha colpito, però, questo pittore realista spagnolo che si chiama Antonio Lopez, che oltre a dipingere bellissimi cessi espone quadri inacabados, incompiuti. Eccone uno.

01-Antonio-López-.-China-y-Japón-Yannan-y-Tamio-.-2014

Il prof, udite udite, lo trova retorico. Dice che è retorica anche la tendenza a lasciare l’opera incompiuta.

E allora, senza che abbia nulla a che vedere con l’arte contemporanea, né con le intenzioni del pittore, mi è partita questa pippa mentale che ora vi appioppo, assicurandovi che è comunque più digeribile dei saggi proposti al corso:

  • La retorica dell’incompiuto è una caratteristica della nostra epoca.
  • È il sotterfugio per non esporci troppo agli scherzi della sorte.
  • A me, ultimamente, sembra fantastica nello studio di un pittore, ma non nella mia vita.

Ci conviene rimanere sempre sospesi, il pennello a mezz’aria? A me no. Ci conviene lasciare a metà gli studi, per paura di NON trovare un lavoro che ci piaccia? A me no. Ci conviene perderci appresso a storie che non vadano mai oltre l’entusiasmo iniziale? A me no.

In questo momento i vantaggi di vivere “incompiuta” mi sembrano meno di quelli di finire quello che comincio.

Perché capisco che l’incompiuto/infinito a qualcuno venga spontaneo*.  E non è detto affatto, su questo vi do ragione, che l’unica via possibile sia essere “realisti”, qualsiasi cosa sia per noi la realtà, e chiamare soluzione quello che è sempre stato spacciato per tale: il posto fisso, la famiglia tradizionale, tutto quello che in altri tempi stava nel quadro e lo chiudeva bene.

No, quello che io chiamo bozza potrebbe essere, per voi, un quadro perfettamente completo, un capolavoro, e va bene così.

Ma mettiamo che abbiamo un’idea su come completare il quadro della nostra vita (almeno quello), che il nostro tratto deciso si diriga verso una possibile conclusione. Che succede, se ci viene improvvisamente questa voglia di portare a termine quello che abbiamo cominciato?

Desistiamo perché abbiamo sempre fatto così? Perché non so se l’ho capita, questa retorica dell’incompiuto, ma credo diventi retorica solo quando non sia più “spontanea” e si trasformi in affettazione, una dichiarazione d’intenti dell’artista, che magari (ho sospettato anche questo) non sappia come concludere il quadro senza risultare banale.

In quel caso, forse dobbiamo rischiare di risultarlo. Banali, dico. Forse dobbiamo avere il coraggio di completarlo, il quadro. A modo nostro, ovviamente, non seguendo le tecniche altrui. Dobbiamo avere il coraggio metterci una famiglia, tradizionale o meno, se in fondo vogliamo quello. O di scegliere una volta per tutte di non mettercela, senza dissanguarci in giro in rapporti a distanza di 5, 6 anni, trascinati non per amore, ma per pigrizia.

Se volete “completare” il quadro (e solo in quel caso), meglio farlo che fingere che ci piaccia così, abbozzato, anche stavolta.

Meglio ancora uscirci, dal quadro, e decidere che per una volta l’opera d’arte, fosse anche un Picasso sotto LSD, siamo noi. Completa, completissima.

Ma senza retorica. E dai. Stavolta senza retorica.

 

 

* Se è tornato in arte contemporanea in un mondo d’immagini digitali, un motivo ci sarà. Siamo schiavi di scienza e tecnica, avrà ragione Heidegger, siamo schiavi della pretesa obiettività della fotografia, specie da quando avete comprato tutti la Canon e mi siete diventati il Doisneau d’ ‘a palazzina.

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