Ultimamente sono un po’ stressata.
Roba che dopo la prima lezione serale come prof., ho telefonato a mio padre, medico, per dettare le mie ultime volontà, e lui ha cominciato a sfottermi: “Ma se non hai niente, prenditi una Tachipirina e vai a letto”. Va detto che mio padre ormai lo chiamiamo El Taqui e che, curando bimbi leucemici, è poco incline a farsi commuovere da una trentenne col mal di testa e le orecchie che fischiano.
Allora, preso il fantomatico paracetamol, che qua la Tachipirina non c’è, devo curarmi da me.
Lo farò con una confessione: è successo di nuovo. Sono diventata le cose che faccio.
È una condizione che si verifica quando abbiamo centomila impegni, o crediamo di averne, e allora ci annulliamo completamente in quelli, senza curarci del nostro benessere fisico, delle ore di sonno, o anche della necessità, che improvvisamente ci sembra superflua, di prenderci un momento di respiro, un pomeriggio di svago.
Allora, non so se vi capita, cominciano i frazionamenti: cioè, inizio a dividermi il tempo in funzione dei primi tre impegni urgenti che ho nelle prossime tre ore. Esempio: “Mentre mi lavo i denti ne approfitto per prepararmi la lezione di domani, dopodomani, e una bozza mentale della tesina da consegnare la settimana prossima”. Ma quanto ci metti, chiederete, a lavarti i denti? Oh, ci tengo all’igiene, io!
Risultato? Che in classe chiedo i congiuntivi a chi si sta ancora impiccando sul passato prossimo, la bozza della tesina la tengo intonsa da una settimana e il mio ragazzo, leggendo l’unico racconto che ho rimaneggiato in mesi, mi fa: “Ma il personaggio a pagina 30 da dov’è uscito?”. E mi accorgo che non lo so. Se sti dettagli non li sapeva la Woolf il capolavoro usciva lo stesso, se sfuggono a me annamo proprio bene.
Finché ieri non mi sono presa i miei dieci minuti per fare mindfulness (ma va bene qualsiasi cosa vi serva a tornare un po’ in voi dopo una giornata alienante, tranne certe droghe) e mi sono resa conto che approfittavo anche di quei momenti di calma per farmi venire idee su come spiegare gli aggettivi qualificativi!
“Allucinata”, per esempio. Perché, e lì l’ho visualizzato bene, era come se stessi scorrendo via da me in mille rivoli distratti e fondendomi con le cose che dovessi fare, prendendo la loro forma. E facendole male.
Se quelle energie fossero tornate a me, a fondersi con me, se fossi stata io nelle cose che faccio invece che io, le cose che faccio, sarebbe andato tutto meglio.
Perché il paradosso è questo: se ci lasciamo prendere dall’ansia e ci annulliamo nelle incombenze quotidiane, le portiamo a termine anche male. Il paradosso delle sabbie mobili: più ti agiti e più affondi.
Per far bene le cose, diceva un’amica psicologa, dobbiamo rilassarci il giusto, conservare il minimo di tensione che ci spinga a dare un buon rendimento e la giusta calma per ottenerlo davvero.
Altrimenti, mi spiace per papà, ma non c’è Tachipirina che tenga.