Una volta, una ragazza che non conoscevo mi ha salvato, con la sua sola esistenza.
È riuscita a far innamorare chi proprio non s’innamorava di me.
Merito suo? Non so. Colpa sua? Macché.
Intanto mi ha salvato la vita, magari in un senso meno tragico di quello letterale. Però mi ha concentrato in qualche mese di purificazione (per non chiamarla “sfogo bestiale”) un dolore che diluivo negli anni. E scusate se è poco!
Poteva essere un trasferimento all’estero, un lavoro che mi portasse lontano. Invece è stata lei, e in qualche modo le sono grata.
Non che abbia fatto molto, eh, intendiamoci, nient’altro che essere lei e, per il solo fatto di esserlo, farlo innamorare.
Per le stesse ragioni per cui quell’altro lì non s’innamorava di me: io ero io, con me non succedeva, e così vanno le cose.
Il problema è che, prima che arrivasse lei, l’ultima parte (quella delle cose che così vanno) non l’accettavo. In realtà non me ne faccio neanche una colpa: ci rode assai, quando siamo impotenti di fronte a quello che vorremmo ma non dipende da noi. Anche perché spesso non dipende da nessuno.
Poi però succede sempre lo stesso, o quasi: tutti i nostri tentativi di quadrare il cerchio, i pomeriggi passati a “lavorare” perché le cose filino, svaniscono nel nulla.
Nel modo più umiliante, magari: noi non esistiamo, ufficialmente, poi arriva lei e lo sanno tutti.
Dicono che l’amore sia così. A me questa cosa non tanto convince: guardo con sospetto ai colpi di fulmine, che spesso svaniscono il tempo di accorgersi che anche l’altro è una persona.
Infatti, i più cazzimmosi tra noi si consolano osservando che i nostri “salvatori” non è che durino assai, al nostro posto.
Intanto, però, questa ragazza mi ha salvato la vita, insegnandomela. Mandando a carte quarantotto tutti i castelli che mi stavo costruendo su qualcosa che, semplicemente, non poteva essere.
E come lei, al mondo, ce ne sono a migliaia, di soluzioni. Tutte le possibili soluzioni impreviste, anche dolorose, di problemi che ora vorremmo risolvere fingendo che dipendano solo da noi, senza calcolare il resto: l’incalcolabile. Che spesso è un futuro imprevedibile che non possiamo considerare una risorsa (“prima o poi succede qualcosa e si risolve tutto”), ma neanche ignorare.
Le cose cambiano, costantemente. L’unica cosa che non cambia, diceva un saggio, è il cambiamento.
E finite le lacrime e le ricostruzioni lente, e rimessi pure i chili che manco Rosanna Lambertucci fa perdere più di una crisi, provo questa strana riconoscenza verso una sconosciuta che non ho mai visto. Le porto la stessa gratitudine illogica che sentiamo verso un mattino senza pioggia, o un bar che faccia il caffè buono, per il solo fatto di trovarsi proprio sul nostro percorso, meglio se in pausa pranzo.
A volte siamo capaci di aiutarci anche quando ci facciamo molto male.
Tutt’è avere la lungimiranza per riconoscerlo e, se proprio ci va bene, per non scordarlo più.