Una volta descrivevo appartamenti, per un’agenzia che voleva fare concorrenza ad Airbnb. Ne descrivevo una media di quaranta al giorno, sul web dell’azienda. Ero fiera del mio record. Ovviamente nessuno mi leggeva, ma i capoccia ci tenevano, pensavano che desse un’aria chic alla pagina.
Ovviamente poi fallirono, perché la pagina era chic ma inutile, non funzionava bene.
E io mi ritrovai senza lavoro e senza rifugio.
Perché descrivere appartamenti era diventato il mio rifugio dalle tante altre cose che sapessi, o potessi, o volessi fare.
Tante, e difficili, e non tutte le facevo bene. Quindi meglio dedicarmi a qualcosa al di sotto delle mie capacità, possibilità, o volontà. Una mansione che fossi in grado di svolgere o che mi riuscisse bene.
Meglio descrivere appartamenti per un’azienda che come politica aveva quella di assumere tre persone a fare lo stesso mestiere, e tenersi quella che producesse di più.
Da quando ne sono stata cacciata, con tutto il dipartimento, non ho avuto molto tempo libero.
Mi sono presa altri titoli più o meno inutili, ho cominciato a insegnare l’italiano come lingua straniera. Mi sono messa a fare attivismo.
A volte va bene, a volte va male. Vedo amici che scribacchiavano con me in Italia che ora pubblicano, sono contenti di quello che fanno, vincono premi. Io a volte ho la sensazione di non riuscirci mai, mai sul serio, specie dopo cinque romanzi che non mi hanno portato tanto lontano dall’ingenua confessione di un amico scrittore chiamato a giudicare il mio lavoro: “Maria… mi sono perso”.
“M’he perdut”, mi ha detto anche l’esaminatore alla discussione dell’ultima tesina, quella del master. Tre anni dopo la dichiarazione precedente, e in un contesto totalmente diverso, quello accademico. Lo stesso giorno, mi veniva una critica agrodolce al lavoro: “Sei una buona insegnante, ma non sai gestire certi alunni”.
Insomma, con me la vita ciacca e ammiereca. Faccio bene e non faccio bene. E magari un giorno dovrò accettare il fatto che, di tante attività, non me ne riesce davvero bene neanche una. Per quanto mi sforzi.
Con tutto questo, però, sono contenta di essere uscita da quella stanza d’ufficio arredata secondo il Feng Shui, in cui si licenziava all’americana, mentre io descrivevo appartamenti.
Sono contenta di esserne uscita e di averci riprovato, a buttarmi a capofitto in attività che mi arricchissero. A vivere un’esistenza che fosse più di quelle 8 ore di appartamenti tutti uguali e poi, magari, cinema coi colleghi, prendo io i popcorn. E la vita descritta sul maxischermo sembrava sempre la mia.
Ora potrei accorgermi di non essere buona a niente di quello che mi aspettassi, che pretendessi di far bene. In quel caso, avrò imparato altre cose. Sarò abbastanza aperta da scoprire altre “vocazioni”, come le chiamano, robe che se me le aveste dette cinque anni fa vi avrei riso in faccia.
Insomma, il giorno in cui avrò abbandonato word per darmi definitivamente all’uncinetto, sarò ancora grata di aver lasciato il mio ufficio-rifugio, in cui ripetevo la stessa cosa al di sotto delle mie possibilità per non mettermi mai alla prova.
Fatelo anche voi, nei limiti del possibile. Se anche fallirete in quello che vi definiva, vi scoprirete altri, sempre diversi, e scommetto un caffè (non fatto da me) che in fondo vi piacerà.