Risultati immagini per indignados barcelona  No, che non siamo sconfitti. Certo non lo siamo perché, secondo qualcuno, sarebbero stati sconfitti i nostri genitori.

È come se il cordone ombelicale che alcuni dei nostri “padri” non vogliono spezzare passasse anche per questo, per credere che tutto quanto facciamo oggi dipenda da ciò che hanno vinto o perso loro.

Parlo di chi pensa che noi ventenni, trentenni di oggi siamo smidollati, troppo viziati, mammoni, bamboccioni, precari anche sentimentalmente. Ovviamente, secondo alcuni, siamo tutto questo perché loro non ci hanno saputo insegnare a essere altro.

Curioso pensare che anche loro abbiano alle spalle una generazione che gli ha rimproverato di non sapere niente della guerra. Ripenso (citazione colta in arrivo!) al fantastico dialogo sui fascisti tra Silvio Muccino e suo padre in Come te nessuno mai. Al figlio alla prima occupazione, il padre diceva che i fascisti dei suoi tempi erano più fascisti dei suoi. E il figlio, mirabilmente, rispondeva: “E i fascisti del nonno, allora? Avevano pure la camicia nera!”.

Il Puig Antich per cui manifestava mio padre invano, è adesso invocato alle manifestazioni a cui vado io. A Barcellona.

Già, perché intanto ce ne andiamo altrove. Nell’Europa che ci rovina pensando più agli scambi di merci che di persone, ma intanto ci ha scambiati come figurine di paese in paese, per i 3, 6, 9 mesi che, se non ci hanno cambiato la vita, non ci hanno lasciati mai uguali a prima: l’Erasmus. O l’Interrail, se è per questo. O qualsiasi viaggio ci sia stato reso disponibile dal crollo dei prezzi degli aerei dopo un terribile 11 settembre, che in un mondo globalizzato diventa un 9/11, in inglese americano. Così cominciamo a parlare “mericano” pure noi, e non come Alberto Sordi.

Non mi sento sconfitta perché ho scoperto cosa significasse manifestare con migliaia di nonne coi nipotini in carrozzina, e adolescenti di ogni origine, insieme a quegli indignados che, per un’Italia sempre diffidente, erano solo “manovrados”, o addirittura la versione spagnola dei 5 Stelle. E ovviamente, secondo chi non c’era, non sarebbero serviti a niente. Anche Podemos, la Pah (qui la gente quando la sfratti si organizza, non se la prende coi migranti), l’assemblearismo che ha generato queste e altre realtà ancora più a sinistra, non servirebbero a niente. Credeteci.

Non mi sento sconfitta finché ripeto a certe intellettuali nostrane che hanno fatto il ’68 o l’equivalente di 10, 20 anni dopo, che è contraddittorio pensare di “liberare le donne dal velo” come se fossero poveri esseri indifesi, dopo una vita passata a denunciare quanto non fossero libere loro. Ma delle femministe di paesi non europei o più multietnici del nostro stanno a sentire, guarda un po’, solo quelle che la pensano come loro.

E no, non mi sento sconfitta finché imparo che, se aumentano vertiginosamente affitti e mutui, la soluzione non è il “si salvi chi può” che adotta il mio paese. No. L’assemblearismo di qua mi ha insegnato a fer xarxa, fare rete, in modi diversi e paralleli ai connazionali, o ai concittadini napoletani, che imparano a fare altrettanto, e me lo spiegano sia dal vivo, quando torno a Natale, sia online.

Soprattutto, non mi sento sconfitta finché capisco che la possibilità di comunicare in ogni momento non è solo una perdita di tempo, o una gara a chi posta più gattini o foto create per stuzzicare l’ego. Finché utilizzo la mia nuova identità mezza di carne e mezza virtuale, e ne capisco le contraddizioni e le ingiustizie, finché so fare questo non mi sento sconfitta.

E non credo che i figli debbano uccidere i padri.

Non capisco, però, perché abbiamo smesso di unirci e provare insieme a uscire dai guai, invece di difendere come cani arrabbiati le due ossarelle di dignità che ci rimangono.

Questa sì che è una sconfitta.

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