Risultati immagini per piuma  Qualche giorno fa sono andata a dare una conferenza, ed ero tranquilla.

Ho preso il treno fin troppo in anticipo, col mio bel malloppo di venti pagine in catalano, stampate su entrambi i lati per risparmiare soldi e volume in borsa. Ho controllato che l’USB col Power Point fosse nel portafogli, sperando che il lavoro fatto nei giorni precedenti desse i suoi frutti.

Certo, non ha giovato che l’anziano presentatore non capisse in cosa fossi addottorata (“Studi di Genere? E che è? Posso dire Humanitats?”). Non mi ha lasciata indifferente neanche l’annuncio semiserio che, se la mia conferenza fosse andata male, il professore che mi aveva mandata a sostituirlo sarebbe stato bandito dalla programmazione di quel centro culturale. Quindi confesso che, una volta davanti alla cinquantina di persone venute lì ad ascoltarmi, non ero più così sciolta e rilassata e poliglotta come ero uscita di casa.

Però è andata bene. La sensazione di serena aspettativa a cui cercavo ancora di aggrapparmi (anche se dopo la prima mezz’ora a parlare solo io cominciavo a chiedermi che cazzo stavo a di’) mi ha aiutata a divertirmi col pubblico, a riflettere con loro. Perfino a comunicare certe mie impressioni che spettatori non proprio familiarizzati con gli Studi di Genere avrebbero potuto trovare un po’ strane. Ci ho schiaffato pure la classica citazione di Tacito (solitudinem faciunt…), peraltro pronunciata alla spagnola, per chiudere in bellezza lo sparuto giro di domande su imperialismi vecchi e nuovi.

Per tutto il tempo in cui ho fatto questo, impappinandomi col catalano, facendomi anche aiutare dal pubblico con certi termini, mi è balenata davanti un’immagine che adesso mi fa tenerezza: la me stessa che andava agli esami con quadernoni fitti di appunti, che ripassava ossessivamente fino al suo turno per conferire. Mi preparavo bene come adesso per la conferenza, eppure avevo il doppio dell’ansia e mi riempivo la testa di nozioni che immaginavo mi avrebbero salvato all’ultimo momento. Prendevo voti piuttosto alti, raramente il massimo.

Sono contenta, quindi, di aver scoperto quanto sia inutile il disagio ai fini del successo. Dipende molto da cosa intendiamo, per successo. Un tempo pensavo che si trattasse di ricevere la lode, scritta e orale, dei miei esaminatori. Adesso che mi si esamina senza voti e senza chissà che retribuzione (non ci lamentiamo, eh, solo che quest’IVA…) ho capito che si tratta davvero di fare bene il proprio lavoro. E, soprattutto, volerlo condividere, preparandosi all’idea che potremmo finire noi per imparare qualcosa.

Mi piacerebbe tornare da quella diciottenne così ansiosa di piacere da non riuscire a convincere del tutto, e darle una scozzetta sulla testolina ansiosamente reclinata sulla sua grafia illeggibile.

Non potendo farlo, mi limito a sperare che le risate che ho suscitato con qualche strafalcione in catalano ricordino a tutti che è dagli errori che comincia tutto.

Perfino un buon lavoro.

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