Immagine correlata Ho un’amica che dove c’è il dolore c’è lei.

La sua storia è da telenovela: sua madre è morta per problemi legati in qualche modo alla sua nascita e, qualche tempo dopo, il padre si è sposato con la badante. Latina, per la cronaca, ma tranquilli, stesso razzismo che per le slave: “Questa chissà da quanto tempo progettava il colpaccio”, hanno sentenziato le zie. E invece la mia amica sospetta che la signora si fosse fatta molto apprezzare, nelle cure all’assistita, e che la vicinanza tra due persone sole avesse fatto il resto. Avendo osservato personalmente i legami che si possono creare al capezzale di un moribondo, mi sento di crederle.

In ogni caso la mia amica (che per una tradizione tutta ispanica ha il nome di sua madre) è cresciuta con quest’idea: l’amore è sofferenza. Grazie al ca’, direte voi. Insomma, non puoi amare nessuno con la certezza che resti, che continui ad amarti con la stessa intensità (a un certo punto le è nata una sorellina…), e che duri non dico per sempre, ma per un periodo di tempo prevedibile.

Suppongo sia per questo che la vedo infilarsi in storie assurde che mi suscitano un’invidia genuina. Che cavolo, fino a qualche anno fa detenevo il primato assoluto!

La guardo con sincera ammirazione mentre si prende l’unico collega depresso al lavoro, o l’unico compagno di yoga neodivorziato, o, soffiandomi il record mondiale, “l’unico che non sorride” alle jam session del Big Bang.

Io il mio dovere lo faccio, eh, come i bambini che da sempre, con encomiabile senso del dovere, provano a svuotare il mare col secchiello. Le dico:

– Beata te. Relazioni come le tue sono un atto di fede. Sai che non puoi fare altro che amare e aspettare un miracolo, e ami abbastanza da aspettarlo sul serio! Tanto la storia non ti tocca mai nel profondo, tranne che per la patina di tristezza costante tra te e il mondo. Ma ha un vantaggio anche quella: ti fa sperare in un domani migliore, senza che questo dipenda in niente da te.

Lei ovviamente mi manda affanculo e ordina un’altra birra.

Non le confesserò mai che ogni tanto lo rimpiango anch’io, il patto col diavolo. Quello in cui:

  • IO ci metto tutto il sentimento (ma proprio tutto, eh);
  • il fallimento non è colpa mia (dipende dalla depressione/dal divorzio/dalla scontrosità dell’altro);
  • conservo una speranza un po’ folle che “domani migliorerà”. Come? Che domanda prosaica!

In realtà nella mia esperienza “domani” migliora davvero. Viene un’altra a prendersi il frutto degli sforzi fatti perché gli tornasse il sorriso. La buona notizia è che spesso glielo toglierà di nuovo. Ma intanto.

La salvezza arriva, solo non come sperato. Non chiamatemi cinica, tuttavia, se ammetto che sono molto fiacchi, i miei tentativi di riscattare l’amica innamorata dell’amour fou. Perché sono fedele a un principio filosofico imparato in lunghi anni d’esperienza e meditazione: la gente deve farsi i cazzi suoi.

Non c’era nessuno che riuscisse a farmi ragionare quando tutto questo succedeva a me. Dicevano tutti cose molto ragionevoli, di cui non me ne fregava niente.

Abbiamo questa tendenza a seguire il nostro stomaco anche quando, come si dice a Napoli, ci porta a sperdere. Credo che questo autore qui qui la chiami “emozione primaria non salutare”. Sì, avete tradotto bene: “cagata pazzesca”.

E per chiuderla in bellezza m’immagino a scrivere un WhatsApp alla mia amica con le parole della Yourcenar:

A volte mi chiedo: contro quale scoglio farà naufragio tutto ciò? Poichè si fa sempre naufragio! Sarà una sposa? Un figlio troppo amato? Uno di quei tranelli legittimi in cui rimangono impigliati i cuori più timorati e puri…

Qualunque cosa sia, speriamo che una scialuppella la trovi pure lei.

E che la usi per arrivare in un porto migliore.

 

 

 

 

 

 

 

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