Nel corso dei miei viaggi ho conosciuto una scrittrice di letteratura per ragazzi.
Il suo primo romanzo, che trattava di adolescenti disadattati, aveva conosciuto un certo successo di pubblico nella sua regione, e mi era piaciuto molto per freschezza e spontaneità. Forse è stato proprio il discreto successo a rendere meno spontaneo e fresco il secondo volume: in quello, i personaggi più amati dai lettori del primo libro si trasformano nei veri protagonisti, fino a diventare modelli di comportamento un po’ scontati. La mia amica mi ha confermato a modo suo che non si può piacere a tutti, e quando ci si prova si rischia di non piacere a nessuno.
Se penso a Trono di Spade, invece, la prima cosa che mi viene in mente sono i cinque volumi che ho letto in un momento molto difficile della mia vita, in cui non riuscivo a sfogliare altro che saghe di letteratura fantasy o giovanile. Speravo che i loro protagonisti vivessero anche per me, e trovassero qualunque cosa stessero cercando (un trono, l’amore, una causa per cui lottare…) al posto mio.
La serie mi è piaciuta molto finché ha seguito il distaccato cinismo dell’autore dei libri. In nome di quello ho perdonato anche le centinaia di pagine sacrificate a un’entità più potente del Dio della Luce: il Grande Pubblico.
Con le ultime stagioni, però, finisce la calcolata arbitrarietà dell’autore fantasy nel distribuire vita e morte, e comincia il diligente lavoro degli sceneggiatori TV: chiusura accelerata delle sottotrame, sopravvivenza garantita per i personaggi “simpatici”, punizioni per gli antipatici… E qualche “colpo di scena” così ovvio che la regia stessa liquida tutto in poche sequenze finali.
Tanto non sono i numerosi nerd amanti dei libri a portare la grana per l’ultima serie, ma i tantissimi spettatori affamati di scene di guerra, di morti edificanti, di belle storie che confermino che “l’amore vince su tutto”.
A me può restare la lezione di fondo: a tutti non si può piacere.
Come per gli eroi un po’ scontati della mia amica scrittrice, forse è un bene che il pubblico veda i suoi personaggi preferiti improvvisamente “riabilitati” con tutti i mezzi possibili e immaginabili, come se senza un improvviso “pedigree” reale non potessero proprio trionfare lo stesso. Forse è un bene che tante bambine vengano battezzate come eroine libere e indipendenti, anche se almeno nei libri somigliano un po’ a delle cheerleader, lontano dal trono.
Tanto la vera storia comincia alla fine di tutto, quando si dissolvono i personaggi che ci rappresentavano e rimaniamo coi nostri “zombie” alle porte, e senza draghi a disposizione per arrostirli.
Ma ognuno ha diritto alla sua fine, a trovare una sua trama ideale, e delle risposte personali ai quesiti che solo le storie ben raccontate sanno porre così a lungo.
Nella fine della saga che mi sono inventata io, non tutti hanno quello che si meritano. Ma ogni personaggio si vede dedicare dai trovatori la sua piccola canzone, magari eseguita in un bordello e non a corte, o sussurrata negli oscuri teatri di nuove cospirazioni.
Ma è la sua canzone, ed è l’unica che conti.