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#soffritemi!

Sulla pagina che modero eravamo cinquemila un anno fa. Per la fine di questo ottobre, invece, prevedo che arriveremo a quindicimila.

All’inizio andava tutto bene: qualsiasi richiesta di informazioni da parte di italiani ancora in Italia veniva o ignorata o accolta da quelli che davvero volessero aiutare. Man mano che aumentava il numero degli iscritti è successo ciò che già capitava da tempo in gruppi più numerosi: gli sfottò a ogni domanda già fatta, i consigli scoraggianti, i commenti razzisti o sessisti. Non mancano infatti i simpaticoni che se la prendono con la “moderatrice-maestrina” perché si permette di cancellargli commenti tipo “Sei troppo brutta per dividere la stanza con te” (che pretese).

Tutto questo perché? Se avete guardato The Experiment lo sapete. Gioco di ruoli, immedesimazione.

Senza dover per forza citare sempre gli “imbecilli” di Umberto Eco e i “webeti” di Mentana, ci sono fior di studi su come il web mostri il nostro lato peggiore. Resta il sospetto che, anche a spegnere pc e cellulari, il materiale umano quello è.

Quello abbiamo, quello esportiamo.

Non solo in Italia.

Anzi, è interessante vedere cosa succede negli altri paesi, o almeno sulle loro bacheche (che, per quanto non amiamo ammetterlo, sono parte integrante della quotidianità di tanti). Ho scoperto un post contro il consumo di alcool, scritto da una bella ragazza statunitense: nei commenti una donna si dimostrava purtroppo intimidita dalla sua avvenenza e le garantiva che, se sei madre, bere è l’unico rimedio al carico fisico e mentale costituito dai figli. E giù centinaia di like, mamme che commentavano entusiaste facendo a gara a chi bevesse di più. Scenario diverso, quindi, dalle nostre mamme pancine, ma ecco il rapporto tra maternità e alcolismo nel mondo anglosassone, spiegato in un solo post.

Oppure, una dichiarazione di Anne Hathaway sul congedo retribuito di maternità e paternità riceveva il commento di una repubblicana: “Non devo pagare io per le decisioni altrui. Quando voglio fare beneficenza faccio volontariato”.

Ripeto: il materiale umano quello è. E somiglia paurosamente ai suoi politici.

Scrivo “paurosamente” perché, secondo me, la paura è la chiave. La paura di essere attaccati come maschi alfa nel proprio diritto a sindacare sulla bellezza delle donne. O la paura di non essere accettate se a un certo punto proviamo a condividere le attività di cura con il nostro compagno, e allora meglio bere e difendersi dalla pressione estetica attaccando quelle che ci intimidiscono.

L’umanità ha una paura esagerata che ne mina le potenzialità, e questo si riflette su tutti i fronti. Come affrontare quella e i suoi derivati (disinformazione, ignoranza, intolleranza…)? Vedo poche strade, ma ci sono.

  • L’istruzione, che comporta sempre il rischio di piegare gli alunni all’ideologia dominante di chi formula i programmi scolastici: ma che, se punta a “insegnare a pensare” come fanno tanti amici docenti, può portare in sé gli anticorpi al suo stesso morbo.
  • La cultura nel senso più ampio possibile, che qui a Barcellona diventa spesso partecipazione: nelle numerose associazioni culturali e nei centri civici c’è gente che considera “più polizia” una priorità rispetto a “più asili”. Ma c’è anche chi discute, decostruisce, rispedisce i pregiudizi al mittente. Correggersi a vicenda è una buona alternativa all’aizzarsi a vicenda, e, a quanto visto, è un’alternativa possibile.
  • E poi l’esempio, che lo dico a fare. Come il falso Gandhi, no? Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo. Ammesso che lo voglia, difficilmente convincerò qualcuno a farsi femminista o vegano, o tifoso del Napoli. Almeno non a parole. Allora parlo il meno possibile e tratto le persone come meritano, sperimento ricette a modo mio, e canto Maria Nazionale fuori al Bar Azzurro di qua. Ok, penserete che quest’ultimo sia un autogol, ma solo perché non mi avete mai sentita.

Insomma, ci tocca lavorare col materiale che abbiamo, e vale anche per noi stessi, con le nostre paure e limitazioni.

Ma va fatto, e presto, quindi… Che aspettiamo?

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