images (1)Immaginate il lavandino della mia cucina.

C’è qualcosa d’insolito.

Un esercito di piatti e posate galleggia in acque intorbidite dai resti della cena. Lo scarico non sembra ostruito da nulla. Se vi chiedo di descrivermi ciò che vedete, mi ripeterete forse la mia descrizione apocalittica, soffermandovi sul particolare che vi ha colpito di più (per esempio, le bacchette cinesi).

Se invece vi chiedo: “Qual è il problema?”, le risposte possono essere varie:

  1. Il lavandino ha una sola vasca, come fai a lavare i piatti?!
  2. Hai fatto di nuovo quella zuppa pseudo-orientale che ti costerebbe l’ergastolo in tre o quattro paesi! (E forse in qualcuno la pena di morte.)
  3. Si è otturato lo scarico.

Non è così scontato che rispondiamo la terza, che, a proposito, è quella giusta. Forse perché ormai non siamo più allenati a notarla subito.

Ci facciamo distrarre, nella vita e nella lettura.

Si parla tanto di analfabetismo funzionale, tra dati ed esagerazioni.

Io tendo a invocarlo con parole veementi quando diffondo su Facebook un annuncio di lavoro, specificando che “lo condivido soltanto”, e un po’ di gente mi manda il curriculum in privato. O al contrario, quando negli annunci che condivido per conto terzi chiedo di contattarmi “solo in privato”, e tempo un nanosecondo spunta il commento pubblico: “Ciao, m’interessa”.

Ultimamente sono in contatto con un tecnico per dei lavori in casa, e quando gli scrivo “Mi dici quando vieni, così mi organizzo?”, mi risponde “Sì”.

Me l’ha fatto due volte. Non può essere una semplice distrazione, e sospetto non sia neanche chissà che deficit intellettivo: la persona ha smesso di leggere dopo la parte che le interessava. Mi ricorda Rebecca in Crazy Ex-Girlfriend, quando il suo primo amore le dichiara: “Sono attratto da te, ma resto con la mia ragazza”, e lei sente solo “Sono attratto da te dhghvnoshfhvsnsof”.

E quest’errore l’ho fatto anch’io, tante di quelle volte che non mi fa più essere così sicura al momento di chiamare qualcuno “analfabeta funzionale”.

Solo che io ero più che altro analfabeta emozionale, e sospetto di essere in buona compagnia. Mi ci è voluto un libro prestatomi da una psicologa per capire che dovremmo dire cose come:

“Sono arrabbiata con te perché mi avevi detto da una settimana che mi avresti accompagnata a quel festival, capisco che ti sia subentrato un impegno di lavoro, ma mi sono sentita tradita perché credevo che, essendo domenica, potessi conciliare alzandoti un’ora prima”.

Chiaro? Sentimento + spiegazione + concessione + conclusione, con tutte le variazioni del caso.

Oppure:

“Sono triste perché alla festa ti sei comportato come se non ci vedessimo da due ere geologiche, e invece avevi addosso un mio ricambio di mutande (a proposito, si vedeva)”.

Ehm, l’ultimo esempio non è basato su fatti realmente accaduti. O lo è molto vagamente. D’altronde quale film che lo rivendichi nei titoli d’inizio lo è davvero?

E invece, leggendo Lacci, di Starnone, scopro che una delle frasi più sottolineate (per me il bello dei tablet è la lettura condivisa) è:

“Dalla crisi di tanti anni fa abbiamo imparato entrambi che per vivere insieme dobbiamo dirci molto meno di quanto ci taciamo”.

Insomma, quella di “parla’ ‘n faccia”, essere onesti e diretti, sembra la cosa più semplice e logica del mondo, invece non lo è! Per due motivi:

  1. Siamo proprio allenati a mentire, dalle esagerazioni del corteggiamento alle frecciatine quando siamo arrabbiati, passando per la pretesa di non dire le cose all’altro, ma di “fargliele capire”. Purtroppo l’altro non è tenuto a capire niente.
  2. Non sappiamo proprio come farlo!

Non sempre riusciamo a cogliere il nocciolo di una questione, oppure ci è facile con un lavandino otturato e meno con i nostri sentimenti. Io però ho notato che a volte sappiamo benissimo cosa proviamo e preferiamo vivere in una beata ignoranza. Capisco anche perché succede: dirci la verità non risolve i problemi, purtroppo è un falso mito.

Però li rende più piccoli, giuro: una volta che ci siamo detti che invidiamo nostra sorella più ricca o apprezzata in famiglia, il problema si ridimensiona; il dolore per essere stati trascurati da qualcuno si rivelerà intenso, ma sopportabile; il rancore verso il nostro ex raggiungerà dimensioni accettabili, se lo saggiamo tutto e scopriamo che è alla nostra portata superarlo.

A volte non ci diciamo le cose proprio perché temiamo di non sopportarne le conseguenze, e invece ce la possiamo fare benissimo!

Quindi è una questione di analisi illogica: individuare lo scarico otturato nel marasma di problemi che vediamo, trovarne la causa e lavorarci su.

L’analfabetismo si cura leggendo, che siano lettere o sentimenti.

E non dovremmo mai vergognarci a chiamare l’idraulico.

Uno buono, però.

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