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Mentre scrivo sono in treno con degli studenti delle medie che stanno concludendo che l’Italia “spacca” più del Messico. Anche se uno difende la causa dell’Andalusia (e ha tutta la mia approvazione). Intanto, una francese con la voce di un usignolo afono prova a spiegare dal ricevitore del treno che fa molto caldo (nonostante siano le 8 del mattino, e siamo in zona alta).

Questo è il mondo che lascio con un mese d’anticipo (oggi firmo ben due TFR) perché, francamente, ne ho piene le tasche, di tutto: delle sue contraddizioni, dei suoi conflitti ideologici, delle cause che ormai abbraccio quasi sempre a metà perché, per quanto mi sforzi, di agnellini non ne vedo troppi, e i lupi li lascio alle favole.

Direte voi: e pensa se eri in Italia!

In effetti parto con la prospettiva di lasciarmi dietro Mariano “articolo 155” Rajoy, che imitato da Los Morancos mi ricordava alla vigilia del referendum catalano che “Por España yo mato”: con l’indepe di casa a fare l’ossevatore dei diritti umani, speravo invano di non doverlo prendere alla lettera.

In compenso, nel mio breve ritorno in Italia mi ritroverò Salvini agli Interni. Novità risibile, ora che scopro che la “napoletana” Annarosa, di Pappa e Ciccia, è razzista e trumpiana. Tanto la schifavo fin da piccola: gente come Salvini mi aveva fatto credere che l’accento napoletano fosse da cafoni. Qualcuno non capisce neanche “cos’abbia detto di tanto brutto” da far cancellare una serie. In effetti, nel nostro paese siede in Parlamento chi chiama “orango” una ministra (scusate il “ministra”, eh).

Insomma, se fosse vero che “ognuno ha quello che si merita”, vorrebbe dire che siamo stati proprio dei caini. Almeno qualcuno chiede già, sui social, “che facciamo il due giugno”.

Cose buone, ragazzi. Facciamo cose buone.

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