Ho traslocato con due settimane d’anticipo, e cinque anni di ritardo.
Ho traslocato con i colpi di scena del caso:
- la scoperta che il tizio del furgone avrebbe solo, appunto, guidato il furgone, e la contestuale salita di quattro piani sostenendo la rete di un materasso;
- l’azzoppamento improvviso del tuttofare di fiducia, che ha cominciato a guardare con terrore chi gli aveva sbattuto una lavatrice sul piede, ma non per questo si è lasciato aiutare da me;
- l’attesa di un carrello in una piazzetta trafficata di Barcellona, circondata da lampade e materassi, intanto che al cellulare pubblicavo libri, organizzavo riunioni e provavo a salvare il mondo, con scarsi risultati.
Insomma, normale amministrazione.
E poi oh, si diceva che ho traslocato con due settimane di anticipo, come risultato di una trattativa coi cocciuti proprietari di casa nuova. Ma tanto ero in ritardo di cinque anni, perché da quella casa che svuotavo ventiquattr’ore prima di venderla non avevo mai traslocato davvero.
A suo tempo ero scappata a gambe levate, lasciando le mie cose a un inquilino contento di non dover comprare mobili.
Così adesso mi aggiravo per stanze deserte e sporchissime (“Almeno buttate la spazzatura!” ordinavo su WhatsApp agli ex occupanti) e spiegavo cose al mio aiutante, uno di quelli che puoi ripagare con una pizza. Dopo tanti anni a descriverglielo, era la prima volta che gli mostravo quel pasticcio di posto.
“Qui è dove dormivi?”.
“No, qui è dove guardavo film e piangevo. Lì è dove sono rimasta chiusa fuori una notte di gennaio. Il pompiere che mi ha liberato è entrato da quest’altro balcone”.
Tra i libri trascurabili che ho lasciato lì, in balia dei nuovi proprietari, la scoperta più tenera è stata un trattatello su un disturbo psichico, non troppo grave ma fastidioso, che a quei tempi stavo cercando di comprendere. Ho sorriso attraverso il tempo alla me che aveva comprato il libro. Quella sindrome ce l’aveva la persona che, mentre m’installavo in quella casa spettrale, mi aveva mollata senza dirmelo, anche perché non avrebbe ammesso neanche sotto tortura che stessimo insieme.
Ho scoperto che quella dell’uomo che ti lascia mentre compri casa è un’altra sindrome interessante, più comune di quanto mi piacerebbe ammettere.
Ho scoperto anche, in questi anni, che a volte le verità sono semplici e banali come quelle che leggi nella posta del cuore:
- non salverai mai chi non vuole farsi salvare;
- chi non ti vuole, non ti può volere.
Allora intanto ho imparato ad aiutare gli altri nel modo più “sano” possibile: trovandogli un lavoro. Hanno ricambiato spesso con lo stesso toccasana.
Anche da queste cose noto che i traslochi, ogni tanto, fanno bene.
Perfino quelli che avvengono troppo presto, o troppo tardi.