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Abbassate le armi! È solo un dolcetto della Majani 🙂 .

Lo so, quando parliamo di pizza mi spuntano i baffetti (insomma, più del solito), e mi compare al braccio una fascia con una fresella sezionata ai lati, che è la cosa più vicina a una svastica che io possa mai indossare.

Ma poi riconosco che il principio di fare un impasto di acqua e farina, e magari metterci sopra delle cose, è abbastanza diffuso, in questo angolino di galassia: ammetterlo ci fa sentire più “paranza”, e la scoperta di tutte le declinazioni dello stesso principio gastronomico ci ricorda che abbiamo tante storie culturali, e familiari, da raccontare.

Anzi, l’autore del divulgativo Sapiens – testo sul riduttivo andante, ma piuttosto godibile nella parte sulla preistoria –  ci ricorda che l’idea di vedere un nesso tra dei semi caduti, e le piante che spuntavano poi nello stesso posto, non è sorta in un solo pizzo di mondo, come si beavano quegli sboroni dei turchi, ma si è diffusa in punti diversi, in momenti in cui non c’erano scambi diretti tra gli agricoltori in questione. Inso’, siamo “andati a zappare” spontaneamente (e magari chi so io lo facesse ancora!), in più punti del mondo: con risultati spesso analoghi, considerando che quello il pianeta uno è.

Quindi non mi arrabbio troppo se una tizia, su Facebook, chiama la pizza napoletana “aquesta coca rodona”, paragonandola dunque alla coca catalana: la poveretta non sa quel che dice, e comunque la coca mi piace molto.

Così come a suo tempo non ho abbattuto a padellate la coinquilina cinese appena arrivata in studentato, che vedendomi buttare la pasta affermava stessi cucinando i noodles, specialità del suo paese che non si è maaai chiamata spaghetti!

Tutto questo per dire che mi dispiace sul serio se su filindeu sardo, ormai confezionato da pochissime donne nuoresi, rischia l’estinzione, e spero proprio che si riesca a conservare la ricetta. Però un po’ mi conforta il fatto che degli chef cinesi e coreani offrano ai clienti una pasta (o anche un dolce!) di consistenza diversa, ma di simile preparazione.

Quindi mi piace pensare che si possa rispettare la tradizione locale, e al tempo stesso proporre delle variazioni sul tema, come sempre si è fatto man mano che gli ingredienti disponibili per un certo piatto cambiavano, a seconda della congiuntura economica, e della disponibilità di materie prime. In Marco e Mattio, Sebastiano Vassalli raccontava dell’accoglienza non proprio favorevole che nella Val di Zoldo suscitarono le patate… E non ho bisogno di “spoilerarvi” come sia andata a finire!

A Napoli, da mangiafoglie che eravamo, siamo diventati mangiamaccheroni, dopo che i maccheroni in questione s’erano fatti meno dolci, da servire con miele e zucchero, e più piatto salato da mangiare sciué sciué col solo condimento di formaggio (qualcuno, con un antipatico anacronismo, dice street food). Ed è stato due secoli prima che si diffondesse sul serio ‘st’ americanata della pummarola. Eh, questi piatti “locali”!

Dovunque io vada, poi, adoro il concetto di pasta ripiena, che si chiami raviolo o jiaozi o gyoza o dumpling: che poi questa parola, in inglese, indicava le palline britanniche di acqua e farina che arricchiscono soprattutto le zuppe. Adesso designa, con i termini generici cari a quella lingua, anche le preparazioni ripiene. Non succede solo col cibo: secondo il mio prof. di letteratura greca antica, le piramidi si chiamano così perché ai greci, vedendole, ricordavano certi dolcetti che facevano loro… di forma piramidale, appunto.

Ma torniamo ai ripieni che mi stanno a cuore: la mia versione preferita, va da sé, è tutta acqua, farina e verdure di stagione, dai funghi alla zucca, passando per spinaci e melenzane. E poi, Giovanni Rana fa i tortelli al cioccolato e io non posso mettere il lievito nei miei? Come scriverebbe il Falzo vegano: #nonpuoichiamarlitortellinisenonsonopiccoletorte. 

Non mi spingo oltre perché so che, tra paesani, quando cominciamo a parlare di cibo finiamo per prenderci a colpi di mattarello, quando come corpo contundente andrebbe bene anche la pizza roman… scheeerzo!

Però (le spunta addosso l’accappatoio di Rocky, e le si stortiglia un altro po’ il naso) se io ho potuto mantenere il silenzio mentre un’alunna d’italiano ordinava una pizza all’ananas, e nella migliore pizzeria di Barcellona, allora tutto il mondo può cambiare!

E buonanotte. Anzi, buon appetito.

 

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