Ancora con la storia dei fiori nei cannoni? Antichi!

Nel mio vicolo, coi fiori, ci facciamo direttamente le barricate!

Infatti sabato, a manifestazione finita, mi sono ritrovata davanti tre fioriere, schivate da sedicenni che cominciavano a mettersi il bavaglio, mentre i poliziotti uscivano in massa dal vicolo adiacente: quello dietro la Policía Nacional. Sì, erano in tenuta da Darth Vader, e se non è stato uno scherzo della mia immaginazione uscivano davvero a culo indietro, tipo gamberi. In ogni caso, mi è come scesa dal cielo la voce di Fabrizio Frizzi: “Maria, per te la manifestazione… finisce qui!”.

Il tempo di avvisare dei turisti giapponesi con bimbo al seguito che non era una buona idea passare per i Darth Vader, solo perché il loro albergo era “dall’altra parte della strada”: meglio allungare il cammino oggi, che finire all’Hospital del Mar fino a domani! Non c’è stato bisogno di spiegazioni, invece, per le ragazze che passavano sgarzole in cerca dei localini su via Laietana, che supponevo chiusi, sprangati, e arrivederci a mai più.

Devo dire che la manifestazione di sabato (circa 380.000 persone) si è svolta davvero tranquilla e partecipata quasi fino alla fine: quindi, se allo sciopero generale è stata la polizia a caricare, stavolta mi sa che i giovanissimi di turno avevano messo le fioriere per conto loro. Non sono servite invece le transennine di questo bar a fermare la furia degli agenti che hanno scassato un po’ tutto, perché un avventore li sfotteva.

Insomma, anche questa è andata: gli unionisti del giorno dopo erano “manifestanti della domenica”, in tutti i sensi. Gente che parlava di soldi e di vacanze quando non sventolava la bandiera spagnola e cantava canzoni che io associo al franchismo, e loro, semplicemente, all’infanzia. I pochi col braccio alzato e il bavaglio, che cantavano Cara al sol, sono stati ripresi invano da vecchietti con bandiera spagnola, che l’inno della Falange lo dovevano intonare sul serio ogni giorno, a scuola. Io facevo amicizia con i venditori ambulanti di bandiere (stavolta spagnole) che si lamentavano dei magri affari, e mi chiedevano se fossi “spagnola o catalana”, per poi ridere: “Napoli! Mafia!”. Al mio ex, loro compaesano, rispondevo simulando un’esplosione, ma adesso mi scocciavo di riaprire anche questo fronte qui.

Anche perché la Policía Nacional, intanto, altro che assetto antisommossa: veniva coccolata da cori stile “A por ellos”, in pratica un invito a menare gli indipendentisti, che pure hanno adottato, ironicamente, lo slogan (e chiedono subito dopo “dove sta il lampione” contro cui si è impigliato il paracadutista il Día de la Hispanidad). Si limitavano a sbarrare il passo alla vittima, come potete vedere, anche i mossos presenti quando una che andava sulla Rambla con la bandiera catalana ha ricevuto un ceffone da una “patriota”.

A parte questo, tutto bene.

La questione è che queste cose non cancellano la vita di ogni giorno, per fortuna o purtroppo. Devi fare quello e quello: nel mio caso, stare attenta alle fioriere a centro strada e capire come farmi una visita medica due volte all’anno senza che mi spennino, o mi diano appuntamento tra sei mesi. Oppure, capire se Leroy Merlin taglia il legno su misura, o mi devo trascinare fin dal carrer d’Aragó il mensolone che farà da scrivania alla stanza piccola: quella che, in mancanza di soluzioni più ampie, doveva ospitare un bambino, e invece ospiterà me ora che vengono i miei per la Castanyada (coraggiosi!).

Tutto come prima, niente come prima.

Continuo ad avere la sensazione che la mia vita, da un po’, sia come la megafesta a cui ti prepari comprando chili di palloncini e passando ore in cucina, e poi si presentano giusto tuo cugino, la collega più simpatica e magari la vicina di sotto, se mettete la musica troppo alta: insomma, molto sbattimento, per risultati modesti.

(Tra l’altro ho capito perché la vicina di sotto si lamenta degli schiamazzi, e aspetta sempre pacchi di Amazon: ci ha l’AirBnb clandestino!)

“Sei felice?” mi è stato chiesto. Contenta, ho risposto: difficile fare il botto in un momento di scelte e rinunce, e in un’epoca da definire.

Però mi è stato detto di nuovo, stavolta da una giovane donna di belle speranze, che “le ho cambiato la vita”, e questo mi ha ringalluzzita peggio di una pubblicazione inaspettata della Penguin (che se vuole sto qua, eh). Perché ho ricordato che questo momento sospeso che vivo è il seguito di tempi molto più bui, da cui sono uscita benone. Figurarsi se non succederà anche adesso!

E no, non è vero che cambio le persone: sono loro che a volte vengono da me, attirate da qualcosa che ho detto nel gruppo di scrittura, o da una battuta che ho fatto sulle case editrici truffaldine. Mi lasciano intravedere le loro vite che cercano solo una spintarella per trasformarsi: la motivazione per scrivere più racconti (e magari ne esce un progetto artistico), o per andare a vivere da sole (e all’improvviso spunta la casa giusta). Allora consiglio libri – di solito con le mie artiste funziona Julia Cameron , consigliatami da una vera scrittrice – e spiego cose di quello che è successo a me: il miglior aiuto per cambiare è mostrare come l’hai fatto tu.

Questo è alla portata mia, e vostra, e di chiunque.

Pubblicità