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Il diretto interessato, poco entusiasta all’idea

“Ah, mica male” mi ha detto al telefono quello della clinica di fecondazione assistita, quando gli ho spiegato che dall’Italia sarei tornata il 9 gennaio.

Credo avesse l’accento veneto, e che quel giorno d’inizio dicembre stesse facendo due conti in tasca a questa potenziale madre soltera che viveva in centro e poteva farsi ‘ste lunghe vacanze: mica come lui, costretto a darmi appuntamento a metà gennaio per un secondo parere che, ormai, è quasi inutile. La fabbrica di bambini dell’altra volta mi ha inquietata: o congelo o pace. Come dice un’esperta in congelamenti: “Let it gooo, let it gooo…”.

Ok, ci do un tagl… insomma, smetto! Ma che volete: vi scrivo con un giorno d’anticipo, e se leggerete questo post sarà perché mi sarò svegliata per miracolo, e avrò schiacciato il ditino sul pulsante “Pubblica” (sempre che il cellulare non si sia scaricato sul comodino). Torno stanotte e la Vueling mi fa sempre atterrare dopo l’ultima navetta: dunque, questo venerdì spero di passare la giornata “a quattro di bastoni”, possibilmente in buona compagnia. Tanto mi restano solo due capitoli da tradurre, per la versione spagnola del libro che pubblico ad aprile, e ho rivoluzionato per la quarta volta il mio manoscritto sull’Erasmus ai tempi della crisi: o lo butto, o lo rimando in giro.

Prima di ripartire, però, mi sono venute in mente le proteste di chi dice che noialtri “brontoloni del Natale” siamo guastafeste, ci boicottiamo da soli, abbiamo perso lo spirito dell’infanzia… A me la cosa più intelligente sembra festeggiare quando vogliamo, perché vogliamo. Non essere costretti a fare indigestione di gente, a cui dedicare non più di un’oretta affollata, e di cibi che non amavo, in buona compagnia, neanche prima di essere vegana (a proposito, sodali: anche ‘sto Natale se lo semo…). A chi dice che non siamo costretti, spiego che l’anno in cui non tornai a Pasqua per impegni di studio, mia nonna morì un mesetto più tardi. La generazione precedente alla mia mangia ancora capitoni, festeggia con entusiasmo gli onomastici, pensa che le donne siano felici di smazzarsi per venti invitati alla volta. Assecondarla per cent’anni “cu’ ‘na bona salute” è il compromesso a cui arrivi quando vuoi bene a qualcuno che non la pensa come te.

Io so che ho il privilegio di poter scegliere quando tornare, ma a ben vedere non sono un caso isolato: un amico che lavora nell’Est Europa si fa in Italia i giorni tra vigilia e Santo Stefano, per poi lavorare a stipendio più alto fino alla fine delle ferie. A me questo sembra il contrario di boicottarsi, e poi in un altro periodo il biglietto costa meno, non ci si mette mezz’ora a percorrere Via dei Tribunali (meno male che avete smascherato le trappole del turismo), e paradossalmente siete più liberi per incontrarmi. Se no, tanto, tutti per Barcellona passate!

Insomma, oltre a un’altra visita nel magico mondo degli ovociti, ho lasciato tante cose in sospeso nella mia casa catalana – tipo la cassetta della posta strapiena, ma col lucchetto nuovo, le cui chiavi sono raccolte tutte in un mazzo solo: il mio. Per alcune questioni, una distanza improvvisa e prolungata non era una sfida scontata: tuttavia, tra i vari propositi di inizio anno, ho aggiunto quello di assecondare più o meno il percorso che mi trovo davanti. Quindi ho coltivato i rapporti fecondi grazie alla parte buona dei social (che esiste) e ho orchestrato un’uscita digitale, dunque più soft, da progetti che non m’interessano più.

A volte, devo ammetterlo perfino io, il cammino che abbiamo davanti è preferibile alle deviazioni auspicate, ma non auspicabili, che a volte comportano più tempo e fatica.

Dopo anni passati a fingere di riuscire bene in progetti più dispendiosi che piacevoli, il “proposito da ritorno” che vi suggerisco resta: scegliamoci le nostre battaglie.

Le vittorie di Pirro, quelle sì, congeliamole una  buona volta.

 

 

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