File:Sant'anna metterza 480.jpg - Wikimedia Commons Si stava meglio quando si stava peggio!

Scherzo, ma è curioso come mi fosse tutto più chiaro quando sapevo di dover passare la giornata tra il terrazzino (trasformato in ufficio con un pareo e due cuscini gettati a terra) e il tavolo in salotto con sopra il computer.

Adesso mi fa strano, l’ora d’aria di questa fase zero prolungata: non mi lamenterò certo del soverchio, ben venga! Così prendo anche un po’ di sole, invece di sei gocce quotidiane di vitamina D, come dovevo fare fino a pochi giorni fa. La questione è che, prima, potevo fantasticare su quale mondo avrei trovato fuori. Adesso la prima cosa che mi sono vista apparire davanti uscendo di mattina è stata una fila immensa, dall’altro lato del Portal de l’Àngel. Per un momento ho avuto l’illusione ottica che dovessero entrare tutti al Corte Inglés che torreggia all’angolo col carrer de Santa Anna: un palazzotto di colore bianco sporco, tutto trine di pietra e vecchi lampioni, alto quattro o cinque piani (non fatemi scendere a contare, che a quest’ora non posso uscire più). Un tempo era quasi tutto a vocazione abbigliamento, per così dire: l’ultimo piano, dedicato ai libri, mi sembrava una barzelletta, tanto era sfornito e male organizzato (una volta trovai nell’improvvisata sezione femminista il trattatello di un uomo bianco etero contro le “feminazi”…).

La fila, invece, girava l’angolo e s’infilava in “via Sant’Anna”, come la chiameremmo in italiano. La componevano persone vestite, appunto, come se dovessero entrare al Corte Inglés, o in un supermercato qualsiasi, e che sotto le mascherine ridevano, chiedevano chi fosse in fila avanti a loro, e provavano perfino a fare due chiacchiere, più o meno a distanza di sicurezza. Non so se quel principio d’ilarità era lì a coprire l’imbarazzo, perché, come ho avuto conferma inoltrandomi in direzione della Rambla, si trattava della fila per la parrocchia che dà nome alla strada. Alla mercé di Sant’Anna era demandato il pane quotidiano di tutta quella gente rimasta senza entrate, ansiosa di fermarsi davanti alla grata che un tempo si apriva sul cortile della chiesa, mentre adesso era presidiata da una ragazza in mascherina, che con l’aiuto di altri volontari alle sue spalle allungava pacchi con la mano guantata. Passando in fretta, i pacchi in questione mi erano sembrati buste della spesa, e mi ero ricordata di una raccolta di generi alimentari che non avevo capito dove si dovessero consegnare.

Intanto, con la didattica a distanza, amici miei insegnanti hanno guadagnato meno di ciò che pagano d’affitto, e amici ristoratori non hanno guadagnato proprio niente. La dichiarazione dei redditi, però, si è verificata con puntualità.

Non so se si è capito dal post di lunedì, ma temo tanto che, una volta finito tutto, si torni al mondo di prima.

Per fortuna leggo in voi, e nelle vostre rimostranze virtuali, le mie stesse preoccupazioni sul confine tra emergenza e deriva autoritaria, e sull’esigenza di cambiare un sistema in cui la sanità, ridotta a un colabrodo, deve fare letteralmente i salti mortali per fronteggiare incubi imprevisti.

Facciamo che stavolta ci impuntiamo, e cambiamo qualcosa.

Non credo sia giusto che ci pensi Sant’Anna.

 

Pubblicità