Amazon.com: L'hora violeta (Catalan Edition) eBook: Roig ...

Prima ho visto il pane. Giallorosso, basso e schiacciato: una coca. La coca de Sant Jordi, esposta nella vetrina di un brutto panificio: di quelli che non si concedono variazioni sul tema di ciò che potrebbe vendere di più, in un determinato giorno.

Poi ho intravisto le bancarelle fuori alla cartoleria fighetta.

Dio, ieri era Sant Jordi e sono uscita di casa in allegria.

Ovvio che non era davvero Sant Jordi, che San Giorgio si festeggia ancora in aprile: ma, per ovvi motivi, avevano posticipato la festa di tre mesi. In ogni caso lo so, l’ansia da bancarelle affollate e ambulanti di rose non me la prescrive il dottore. Sarà che il mio primo Sant Jordi lo passai immersa in un elaborato trasloco che prevedeva un paio di attraversamenti della Rambla… Avevo poi imparato ad amare la festa del libro, il San Valentino di qua: a bancarelle smontate, ridevo perfino un po’ delle famiglie catalane che attraversavano terrorizzate la Rambla del Raval, tra hippie di ritorno e passanti in kaffetano, alla ricerca della maledetta metro Paral·lel!

Ieri invece toccava fare il mio dovere: sono andata alla vicina libreria delle donne, specializzata in autrici. È un posto bellissimo, con una caratteristica che non cambia mai: la cassiera di turno è troppo occupata a sconfiggere il patriarcato per ricordarsi anche di farti pagare i tuoi libri. In fondo, le donne hanno meno accesso al capitale economico, no? Cioè, la commessa può anche cercarti il prezzo su quella specie di Atari vintage, mentre chiacchiera con una cliente che ha già pagato, ma ci metterà comunque quel paio di minuti a dirti quanto le devi: a rivelartelo, più che altro, perché ‘sta cosa di mettere il cartellino del prezzo ai libri è sopravvalutata.

Risultato: pago venti euro per Montserrat Roig. L’hora violeta: l’ora “viola” in cui le sue protagoniste trasformano i loro fallimenti con gli uomini in un momento di risveglio, di libertà. Bene così, le librerie hanno bisogno di sostegno e la copertina è stupenda, come lo è Montse Roig. Non capisco perché non approdi in Italia, terra che, quando si ricorda di leggere, apprezza le autrici francesi tutte introspezione e niente trama: al massimo qualche rimembranza di glorie passate e traumi giovanili, perché “la vita è una trama sufficiente”.

Eppure stavolta ha vinto lei, Montse: questo Sant Jordi è coinciso davvero con Il tempo delle ciliegie. Un suo… discendente (ma è morta prestissimo) mi mandava cartoline scritte con una grafia un po’ infantile, in frasi disposte a forma di chiocciola: “Se ti va, quando torno…”. Aveva una casa, a Barcellona: una villa proprio, come il ragazzetto che per un po’ mi aveva fatto da amigo con derechos aveva, grazie al padre facoltoso, non so più quante opere di Dalí. È una borghesia catalana che ho sempre, solo sfiorato (a parte l’amigo con derechos!), in un periodo della mia vita in cui finivo per uscire con vicini immigrati e musicisti terroni (o figli di).

Ma Montse Roig valeva tanto oro quanto pesava. Le devo tanto: la mia Pepita di Una via dritta si è ritrovata nella stessa carica sulla Rambla di sua maestà Natàlia Miralpeix: la protagonista di varie opere di Roig, nonché uno dei personaggi dal cognome più sconcertante per una lettrice napoletana (provate a dividerlo un po’). È stato bello scoprire poi che il romanzo appena acquistato si apriva proprio con una lettera di Natàlia all’autrice, quando ho aperto il libro al Parc de la Ciutadella: sullo sfondo, la lite tra un immigrato strafatto e un quarantenne locale in tenuta da jogging (“Sono quelli come te, che…”). E i compagni di entrambi a separare, parlare fitto e bassa voce, cercare di “far ragionare” l’amico: un rito internazionale, perlopiù maschile, che ci dovrebbe rendere meno razzisti e più consapevoli dell’umana idiozia.

Per contrasto ho ripensato ancora alla fila di donne alla cassa della libreria, ai loro capelli bianchi o al caschetto di prammatica che subentra con la mezza età: si conoscevano per nome, forse frequentavano gli stessi collettivi femministi. Avevano le stesse pretese di eleganza un po’ ironica che ho provato a convogliare nelle mise di Mariona (la figlia della Pepita di cui sopra). Confesso che in loro presenza provavo una soggezione di straniera che non è mai entrata “nei giri” (ma quando mai l’ho fatto, e dove?). Allora, mettendomi sulla difensiva, ho finito per pensare: “Maro’, saranno tutte terf!”.

Pregiudizi a parte (ma gli ambienti quelli sono) va bene anche così: il “dovete essere compatte” mi fa tanto raccomandazione dei professori al liceo. Perché mai avremmo dovuto unirci tra studenti, se c’era chi passava il compito e chi faceva assenze strategiche inguaiando gli altri? Non si tratta neanche dell’ognun per sé, ma quest’idea di unirsi a tutti i costi, anche a costo di diventare stronzi uguale, stronze uguale, mi sembra una sciocchezza volta a un fine sbagliato: quello di prevalere, invece di far prevalere la causa in cui si crede.

Ma ho riflettuto abbastanza, per questo Sant Jordi estivo. Speriamo che il prossimo tocchi festeggiarlo prima della raccolta delle ciliegie: tanto, ansia a parte, è già di per sé una delizia.

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