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Ieri sono andata in questo posto a venti minuti circa da Barcellona, che si chiama La Floresta. Ci sono andata in perlustrazione, per vedere se posso mai tornare, in vita mia, a vivere in provincia.

Mi si dice infatti che alcuni paesi della mia regione d’origine sono come Maple Town, ma con la senape e l’aneto che crescono spontanei in mezzo alla via. Wow. Da me spuntavano al massimo soffitte senza licenza! Settant’anni fa avevamo i tram, e cento anni fa contavamo già tre o quattro industrie di media grandezza: tutti gli svantaggi della grande città, senza i vantaggi! Per questo, da quando me ne sono andata, ho sempre vissuto in città più o meno grandi, ma non enormi. Le adoro: mi piace la possibilità di avere un bagno di folla (in tempi normali, dico) ma solo se mi gira. Il casino c’è ed è innegabile, ma non ti segue dappertutto.

Però la quarantena, tra le altre cose, mi ha insegnato che amo la quiete. Molto più di quanto non lo facessi da gggiovane. Magari, con questa scoperta, viene meno anche il motivo principale per cui mi autoconfinavo in case minuscole, in contatto costante con vicini scassaminchia o anche pericolosi?

Così speravo, scesa dal treno comodissimo che passa ogni cinque, dieci minuti. Bel posto, mi dicevo poi salendo le scale della stazione: vecchie case alternate a palazzi più recenti, con piscine sparse qua e là. I ricconi barcellonesi di cento anni fa passavano lì le vacanze, prima di farsi sedurre da altri posti e lasciarsi dietro le ville costruite in uno stile a caso, che non indovinerete mai! (Sì, modernismo, o la sua brutta copia.)

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Poi sono venuti gli spodestati dalla città, a occupare le abitazioni vuote. Ci si sono trasferiti infine i fricchettoni di altre latitudini che si possono permettere gli affitti di una casa intera: se ci si “accontenta”, però, ci sono appartamenti che costano quanto quelli dei quartieri centrali di Barcellona, ma col doppio dei metri quadri.

Tutto bellissimo, no? Però, quando mi sono allontanata dal baretto di fronte alla stazione che mi sembrava fare da dopolavoro ferroviario, mi sono persa tra le case. Scendevo e risalivo strade che s’inerpicavano tra villette sorvegliate da cani, che mi contemplavano diffidenti: sarà che ero quasi l’unica anima viva in giro, e l’unica con la mascherina addosso. Me la sono tolta solo quando sono arrivata proprio a una strada sterrata: e che diamine, venissero a multarmi là in mezzo!

Dio, l’aria. Chi si ricordava che respirare potesse essere non solo un’operazione normale, ma anche piacevole? (A parte le mie spedizioni al mare, dico: ma lì si intromette l’olio delle fritture, e della paella appena scongelata a beneficio dei pochi turisti.)

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Percepivo il mirto, il rosmarino… E che volete, io ogni volta che sento odori così ripenso a Capri, la palestra mediterranea più importante che abbia mai avuto il mio naso.

Sì, ma… cavoli, avrò incontrato cinque persone in un’ora. Un giorno dirò “Alleluia!” anche di questo, ma ora non sono pronta: la scelta, sapete? Questa storia di rendermi la vita qualcosa che somigli sempre più a una scelta. Tipo avere più punti di ritrovo a disposizione in zona, rispetto all’unico parchetto, o all’unico bar (anzi, forno culturale!) in cui si radunano i fricchettoni del posto di tutte le età, magari con la prole al seguito e una chitarra da strimpellare.

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Invece, ho pensato tornando alla stazione, ‘sta storia delle scelte l’abbiamo appresa tutta sbagliata: crediamo che sia una scelta quello che non lo è, e non vediamo la scelta dove ce l’abbiamo. Sospetto che succeda anche perché siamo una specie animale un po’ paracula.

Prendiamo la meritocrazia. Ai tempi funesti in cui andavo a scuola dalle suore (non fate questo ai vostri bambini) quando mi chiamavano a casa certe compagnelle mi veniva chiesto: “Chi era al telefono?”. Dall’espressione delusa di nonna, che aveva risposto, capivo cosa fosse successo: l’accento. L’accento era sbagliato. In una generazione di donne che ci mettevano un minuto d’orologio ad apporre una firma alla posta, mia nonna era maestra: aveva imparato nelle scuole fascistissime che debellare il dialetto era la sua missione di vita. Vi posso assicurare che un datore di lavoro che non fosse proprio il titolare di una fabbrica a nero (ammesso che queste mie lontane amiche siano mai passate per un lavoro, prima di sposarsi) avrebbe fatto la stessa faccia di nonna davanti alla pronuncia dialettale delle ragazze. Io, invece, avevo per nonna lei, avevo la pronuncia “giusta” senza averlo scelto. Ma la meritocrazia, gente.

Oppure pensiamo alla scelta tra carriera e figli, tra le molestie sul lavoro e la disoccupazione… E non sto negando la possibilità di imboccare una strada al posto di un’altra, ma ci rendiamo conto che non si tratta di vere scelte? Dall’alto di quale privilegio vogliamo irridere chi non “sceglie” quello che avremmo scelto noi? O meglio, quello che ci piace pensare che avremmo scelto noi.

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Invece, guarda un po’, quando vogliamo dirci di non avere scelta scomodiamo la scienza. Con la religione non attacca o più, non come prima, e allora eccoci a dire che le donne e gli uomini hanno diversi caratteri definiti dai cromosomi, oppure che una è donna solo quando ha una vagina.

Prendiamo Aristotele, tanto per tornare alle origini: l’uomo è un animale sociale. Sì? Se vuol dire che abbiamo bisogno di fare quadrato per far funzionare una società posso anche essere d’accordo, a parte l’ovvia constatazione che poi siamo degli assi nell’autodistruzione a fuoco lento.

Altrimenti devo appartenere a un’altra specie, tipo i minolli. Perché da sola sto una bellezza. Anche quando per “sola” intendiamo single: liberiamoci dall’idea che una relazione sia meglio della vituperata solitudine. Specie per le donne autosufficienti, non si mostra sempre valida.

Sto dicendo che sia sempre meglio essere single a vita, anzi, o trasferirci proprio in un eremo?

No. Sto dicendo: se smettiamo di pensare che da sole, da soli è impossibile, sceglieremo meglio a chi accompagnarci. Se proprio insistiamo per accompagnarci a qualcuno!

Io scelgo ancora di avere una fervente vita sociale a pochi metri di distanza da casa mia, a costo di sorbirmi pure i vicini scassaminchia (e denunciare quelli pericolosi).

Poi, quando vorrò respirare aria profumata, tornerò a vagare tra i rosmarini della Floresta.

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