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Se lavori di meno, lavori di più.

Questo ho scoperto da quando ho smesso di ostinarmi a scrivere a partire dal mio risveglio (che, grazie a Megafona, avviene anche prima delle sette) fino a quando mangio (le due passate, come da consuetudine iberica). Ha ragione chi predica che la produttività non è legata alle otto ore giornaliere: se non mi impongo orari d’ufficio, corredati di abbondanti pause caffè e momenti di minor concentrazione, scrivo di più e meglio. Magari scrivo anche per lo stesso numero di ore, solo con più gioia.

Prendete ieri. Ho attaccato alle 7.30 e per le 12.30 avevo già riscritto cinque capitoli (sono brevi) del manoscritto iniziato durante la quarantena. Va da sé che ero fritta, quindi sono uscita “a prendere un po’ d’aria”.

Seh, aria. Tempo cinque minuti ed ero già nel Corte Inglés, ad arrendermi. Sì, perhé le terroriste della protezione solare (un paio di esperte di epidermide su YouTube) mi hanno convinto con la storia di mettersi la crema protezione 50 tutto l’anno, e pure in casa. Con buona pace del Body Shop, che fa pagare la sua trentacinque euro, mi è bastata una rapida spedizione al Corte Inglés per individuare un esemplare vegano: uno della marca fin troppo economica che però, durante la quarantena, mi ha salvato le gambe da un’apocalittica siccità. Quelle creme un po’ unte erano l’unico prodotto papabile nel minimarket che razziavo quando ancora potevamo uscire solo a fare la spesa.

Come? Costava nove e cinquanta? “Ma è una truffa!” volevo gridare alla cassiera: se ‘sta marca a stento sfiorava i quattro euro a prodotto! Vabbè, ho pensato, è la famosa tassa rosa dei prodotti destinati alle donne… Che a ben vedere è un po’ una truffa pure quella. O magari significava che questa crema era più buona rispetto alle altre della linea: anzi, uscendo dal Corte Inglés ho pensato bene di applicarne un po’ sotto la mascherina. Giusto sulla curva del naso, senza scendere trop… Oddio, ma perché quella consistenza pastosa? Mi sono guardata il palmo della mano: all’improvviso era abbronzato. Merda.

Ho ripescato la confezione dalla borsa: un rettangolino rosso conteneva, ripetuta, la seconda lettera dell’alfabeto: maro’, avevo comprato una BB cream. Che a me, a dirla tutta, sembra la sorella scema del fondotinta. Avevo ragione, era una truffa! Ok, non lo era, ma adesso non cominciate a chiedermi perché non abbia guardato meglio la confezione: a parte che sono cecata, le probabilità di trovare un prodotto per il trucco tra deodoranti e creme corpo sono pari a trovare una confezione di spaghetti che non scuociano tra gli scaffali della pasta Gallo. (Non conoscete la Gallo? Vi invidio!) Miii, adesso si spiegava la rapina di quasi dieci euro alla cassa: mi ero appena spalmata in faccia una roba color “rosa mosqueta” (che ovviamente, letto sul momento, avevo scambiato per un olio essenziale, magari presente nella confezione in dosi omeopatiche).

Ed eccoci al momento indovinello.

Secondo voi che maschera avevo addosso? Ovviamente, la ffp2! Quella che costa mezzo rene, ma, una volta che l’hai provata, indietro non si torna, non se hai il naso otturato tutto l’anno. Oddio oddio oddio. Mi sono isolata un momento per dare un’occhiata: ebbene sì, avevo truccato la mascherina! E sì, il colore pareva davvero quello di una rosa appassita. Mannaggialasbomballatasverenatasbullonata (cit.).

Tra i metri di Walhalla che facevo piovere giù un po’ a caso, mi sono chiesta in napoletano: chi m’ha cecato? A parte le cinque-sei ore quotidiane davanti al pc, dico. Cosa mi aveva fatto entrare nel Corte Inglés nel corso di un’uscita “per prendere una boccata d’aria”?

A spingermi sono state due motivazioni che ci riguardano in paranza, credo.

Una è che “uscire” e “fare spese” rischiano di diventare un tutt’uno, ora che non è normalissimo uscire ed è normale, invece, fare spese. Per tutte le tasche, eh, non importa la crisi: ci sono accessori per il cellulare a cinquanta centesimi l’uno. Ho poi apprezzato la strategia del prodotto più kitsch e inutile, dunque bellissimo, che mi abbia presentato Internet di recente: una serie di vestaglioni rétro di tulle e pizzo, dai colori più assurdi. Lo slogan era perfetto perché giocava a negare l’evidenza: “Ho la sensazione che tu abbia bisogno di questo nella tua vita”. Non è affatto vero, e proprio per questo ora li voglio tutti. Regalatemeli!

A questo punto mi direte: sì, ma tu non hai sedici anni. Dovresti conoscere ormai la differenza tra ciò che vuoi e ciò che ti serve. Beh, diciamo che avete ragione almeno sulla questione di non avere sedici anni…

Però c’è anche un’altra questione che noi residenti a Barcellona fatichiamo a spiegare a chi rimane in Italia: quando gli spazi pubblici diventano a pagamento, l’unico modo di restarsene in tranquillità fuori casa diventa pagare.

Che, a pensarci bene, è una piccola truffa in sé: perpetrata se non altro dalle istituzioni che non riescono a garantirci spazi gratuiti.

Pensate che mi sono resa conto solo con la quarantena che il Portal de l’Àngel avesse dei cubi di marmo su cui sedersi. Prima i miei occhi li registravano appena, affollatissimi com’erano. A meno che non riuscivi ad aggiudicarti quelli, le opzioni per “una boccata d’aria” erano:

1. farsi strada a stento tra turisti e gente in monopattino votata a ucciderti;

2. entrare da Fnac, tanto la fila per i libri si fa solo a Sant Jordi;

3. sedersi a un tavolino nei dintorni e pagare tre euro per un caffè;

4. ricordarsi di qualcosa di urgentissimo da comprare, e fare almeno quello.

E l’abitudine è una brutta bestia anche adesso che mi si sono liberati i cubi-panchina.

Ma è quando resto a casa che corro il rischio di finire vittima delle truffe vere, che neanche Totò con la fontana di Trevi: lunedì mi è arrivato un messaggio al mio numero privato, da parte di un'”azienda di trasporti” che aveva il nome più generico mai letto. Una cosa tipo “Trasporti express”. Per consegnarmi “il pacco” volevano un euro e ottantacinque di spese, a patto ovviamente che inserissi tutti i miei dati sulla loro strana pagina, che sembrava un videogioco. Intanto, però, un pacco lo aspettavo davvero, ed era intercontinentale: per cui l’impresa di spedizioni mi mandava una sfilza di email in cui mi chiedeva di stampare e scannerizzare documenti di cui, a dirla tutta, non ci si capiva quasi niente. Dovevo pagare dei dazi sulla merce, dicevano. A un certo punto mi hanno chiamata e mi hanno chiesto se accettavo la sovrattassa: l’avrei pagata all’arrivo del corriere. Ma quest’ultimo, una volta arrivato con lo scatolone per me, ha dichiarato che era tutto già pagato. Io devo ancora capire chi volesse consegnarmi un pacco e chi volesse solo, ehm, farmi il pacco.

Tutto questo è spia di qualcosa: il ritorno al consumismo di massa (se mai era stato abbandonato) avviene in maniera disordinata, con un’abbondanza di gente disperata che prende a fare truffe sempre più complicate. Fortuna che finisci per sgamarle quasi subito, proprio perché sono complicate.

Insomma, aridatece Totò: siccome un suo ritorno non avrebbe prezzo, mi limito a scambiarlo con un pacco da un euro e ottantacinque, da pagare alla consegna.

Contiene una BB cream, e una maschera ffp2 color rosa mosqueta.

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