Primer Plano De Un Plato De Patatas Fritas De Tortilla De Maíz Redondas Con  Guacamole Fotos, Retratos, Imágenes Y Fotografía De Archivo Libres De  Derecho. Image 32701268.
Ok, questi sarebbero totopos, ma nel negozio del post compro anche quelli, eh, non discrimino!

Purtroppo sono una frana con gli accenti latini.

Non saprei mai dire, dunque, se il tipo dell’altra sera al supermercato afrolatino (sic) su Laietana fosse un compaesano delle due commesse, che come lui avevano la pelle ambrata, gli occhi un po’ all’insù e una parlata piuttosto dolce.

Quello che so dire, però, è che il tizio mi faceva rabbia: andava avanti e indietro gridando come un pazzo, aveva addosso un casco da moto e non portava la mascherina, che a Barcellona, nei luoghi pubblici, è obbligatoria in qualsiasi momento. Fortuna che lui e io eravamo gli unici clienti rimasti nel locale, prossimo all’ora di chiusura. Il tizio aveva pure una tenuta un po’ fighetta, da centauro chic: ma insomma, che mi infastidisca questo è un problema mio, chi si sogna di imporre in giro il proprio senso del decoro? No, wait.

Fatto sta che questo qui trasudava arroganza, e una disinvoltura che in quel contesto, con i contagi che aumentano a dismisura, sembrava irritante perfino a me che, pur adeguandomi, non sono proprio convintissima dell’uso della mascherina ogni benedetto secondo. Certo, in un supermercato non mi sarei mai sognata di non portarla e di saltare pure avanti e indietro, come ‘sto tipo che monopolizzava la cassa con prodotti sempre nuovi da comprare. Anche il suo modo di chiamare le commesse, stile richiamo della foresta, mi irritava.

La reazione delle commesse? Ridevano. Ci scherzavano su, dicevano: “Eres un peligro!”, sei un pericolo pubblico. Forse il tizio, quando a un certo punto era sembrato almeno cosciente della situazione anomala, ha raccontato una storia tipo che il virus se l’era già beccato tempo fa, o così mi è sembrato di capire: magari, allora, mi mancavano delle informazioni. Forse le ragazze lo conoscevano, o così suggeriva la familiarità con cui interagivano con lui. Dalle mie parti tendiamo ad avere una simile affabilità, ma raramente avviene tra persone di genere diverso.

Sulle latine, generalizzando molto, c’è il cliché che siano molto “solari”, e sempre disposte a ridere e scherzare. Pure con un tizio come questo qui. Io, invece, mi chiedevo se in quel momento tra la pelle color mozzarella e l’indifferenza che ostentavo non passassi per un’autoctona: piazzata in fila a debita distanza, guardavo tutto tranne il tizio, che sembrava desideroso di ampliare il suo pubblico, e non nascondevo la mia impazienza in quell’interminabile attesa.

Quando è stato il mio turno, le ragazze sono state super affabili anche con me. Allora ho ricordato l’amica un po’ gelosa che, a una cena con il gruppo di canto, s’era risentita di una cameriera latina che conosceva bene il suo ragazzo, dunque lo abbracciava con spensierato cameratismo e lo chiamava mi amor. Va detto che la povera cameriera ignorava che la fidanzata del suo amor fosse seduta a poca distanza da lui, e fosse pure italiana!

Sono stili di vita: verso i venti, ventidue anni, ero così spontanea anch’io. Ero molto affabile, scherzavo con tutti, e confondevo gli uomini. Nelle mie fantastiche avventure di ventunenne all’ostello di Catania (una saga che infliggo tuttora anche alle amicizie recenti) mi era capitato qualche volta di sorprendere un po’ le ospiti nordiche, che però si adeguavano alla mia allegria come se fosse un’attrazione in più dello “strano paese” in cui villeggiavano. Non vi dico i problemini che, come ho già accennato, ebbi con gli uomini, per questa mia pretesa di trattarli uguale: non mancavano occasioni in cui dovevo fare il cobra (espressione spagnola tutta da scoprire), oppure ero accusata di fare la profumiera… Il tutto perché avevo la pretesa di andare in spiaggia da sola con Adrian così come il giorno prima c’ero andata con Vedita, e addirittura di farmi un giretto notturno con Ibrahim, che a un certo punto, dopo ore passate a sorbirsi la mia notoria parlantina, mi aveva chiesto un po’ stranito “perché avessi voluto fare quella passeggiata insieme”. Poi s’era reso conto che era davvero per passeggiare (assurdo!), e aveva detto ok, bene. Detto tra noi m’era andata quasi sempre meglio, con i senegalesi che bazzicavano intorno all’ostello: ci provavano, si beccavano il no, e amici come prima. I maschi alfa locali, non di rado, insultavano. Era la mia prima estate da sola.

Poi ero andata a vivere per un po’ Inghilterra, ed era cambiato tutto.

All’arrivo all’aeroporto di Manchester, il conducente libanese del pulmino universitario mi diceva che ero un sacco amichevole (“Cosa rara, da queste parti”); al ritorno in Italia, in compenso, mi faceva strano anche solo che un compaesano mi toccasse la spalla, per indicarmi la strada da prendere quando chiedevo un’informazione. So che ad altre persone avrebbe dato fastidio a prescindere dall’origine geografica, e c’entra tantissimo la personalità individuale.

Tuttavia l’altra sera, durante quei pochi minuti nel supermercato in cui le commesse latine si mostravano affabili verso un pallone gonfiato, avevo pensato due cose.

Una è stata: “Come so’ invecchiata!”.

L’altra ha un po’ a che vedere con quello che scrivo qui in conclusione, perché è parte del discorso sull’egemonia culturale: chi detta la linea su questioni come gentilezza, autenticità, gusto e, già che ci siamo, sull’iperinflazionato concetto di decoro? La risposta è ovvia: lo fa chi ha il potere di farlo! E non sempre è un potere che passa per quantità enormi di denaro (vero, Bourdieu?), ma è comunque un’egemonia culturale. Come dicevo nel primo link del paragrafo precedente, ma ci avrete sicuramente cliccato, ho la sensazione che sì, le femministe anglosassoni fanno dei discorsi molto sensati sul consenso: ricordo un tweet che sosteneva che anche i bambini dovessero in qualche modo darci un'”autorizzazione alle coccole”, che diamo spesso per scontata. Mi sembra uno spunto di riflessione interessante, e siamo d’accordo che se vediamo una bimba chiudersi a paguro mentre la stai spupazzando, forse non è il caso di continuare.

Ecco qui il “ma”: forse abbiamo la stessa idea di consenso (anzi, lo spero!), ma abbiamo anche la stessa di coccole? O in generale di affetto, e manifestazioni dello stesso. Esiste un gesto napoletano che è più facile da ripetere che da descrivere: accarezzi il mento o le guance di una criatura sotto i cinque anni, poi ti porti la mano alla bocca come se volessi mordertela. Come dire: ti mangerei di baci. Adesso, a me è sempre sembrato un gesto un po’ plateale (gli strati che compongono la mia cultura sono più numerosi di quelli della lasagna di Carnevale!), così come ho sempre trovato strani i baci sulla bocca tra madri e figli piccoli, ma è vero che ad altre latitudini trovo manifestazioni d’affetto molto diverse, che alla me ventunenne sarebbero sembrate, ebbene sì, un po’ fredde. “Discrete”, mi corresse una volta un’anglo-napoletana. Adesso so che aveva ragione.

Il problema è quando, al momento di decidere cosa sia affettuoso e cosa esagerato, o cosa sia decoroso e cosa riprovevole, dettano sempre legge le persone che possono.

Parlando di un ambito che non mi compete, assisto dalle retrovie alleate al dibattito, in seno a parte della comunità nera italiana, sull’influenza degli Stati Uniti nella lotta antirazzista: c’è chi respinge la nozione di afroitaliana, considerandolo un brutto calco di “African American” (peraltro, a quanto pare, ormai scalzato da black), e chi al contrario prova a imporre anche in un contesto europeo il concetto di razza, che in virtù della nostra storia e di qualche solida tesi scientifica avevamo, a mio parere felicemente, messo da parte.

Come ben sappiamo, la stessa comunità afroamericana ha, diciamo, qualche problemino con i movimenti a prevalenza bianca che pretendono di essere “per tutti”. Vi ho già parlato di questa ricercatrice e reverenda di origini giamaicane che non si sentiva inclusa nella Women’s March, perché le organizzatrici a suo dire si curavano di più di avere un token nelle loro file, che di ascoltare davvero le esigenze delle donne nere: specie quando, magari, si facevano foto entusiaste e affettuose con gli agenti che seguivano la manifestazione, loro che potevano…

Spesso è proprio così: nessuno cerca d’imporre nulla. La gente conduce la sua vita e le sue lotte, poi prova a coinvolgere persone di un diverso contesto socio-economico e scopre che non sempre valgono le stesse cose per tutta la popolazione. Allora che si fa?

Si ascolta. Si analizza, si prova a capire. L’alta sera, al supermercato, le commesse magari erano solo obbligate a essere gentili, mentre io che ero una cliente europea potevo ignorare l’energumeno o addirittura trattarlo dall’alto in basso (a livello di insulti razzisti, italianini o espaguetis suona quasi affettuoso, rispetto a sudaca).

Oppure avete ragione voi, se in questo momento pensate che mi sto facendo un sacco di pippe mentali, e per soli cinque minuti di attesa alla cassa di un supermercato!

Fatto sta che il problema rimane: chi decide, in generale, cosa sia giusto e cosa no? Non si capisce bene, a parte che per le norme igienico-sanitarie minime per tirare avanti di questi tempi: e pure quelle si contraddicono.

Nel dubbio io continuo a portare la mascherina, a farmi domande e ad andare in quel supermercato apposta per i totopos rotondi.

Costano un po’ più che altrove, ma vuoi mettere.

(Consideriamo ‘sto video un incrocio di culture, va’ :p .)

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