Room 2806: The Accusation review – another intriguing Netflix docuseries

Ho visto la serie di Netflix dedicata alle accuse mosse da diverse donne a Dominique Strauss-Kahn.

A prescindere da tutto, mi colpiscono alcune delle motivazioni per cui il procuratore di Manhattan non ha ritenuto credibili le dichiarazioni di Nafisatou Diallo: la donna guineana, all’epoca trentatreenne, che ha accusato Strauss-Khan di averla stuprata quando è entrata nella sua suite d’hotel per fare le pulizie.

La donna non è stata considerata “capace di convincere una giuria” della sua credibilità: gli investigatori (quelli interpellati o filmati nella serie erano americani bianchi di mezza età) avrebbero trovato molti soldi sul suo conto, un fidanzato in carcere, e una storia inventata (stupro di gruppo in Guinea) per entrare negli USA. Non entro nel merito delle contraddizioni che ci sarebbero state nel racconto di Diallo sullo stupro, né capisco bene perché la serie si soffermi tanto anche sui rapporti consenzienti che intratteneva Strauss-Khan. Però, mentre ascoltavo questi americani bianchi di mezza età, che probabilmente non hanno mai avuto problemi a risiedere nel loro paese d’origine, mi chiedevo: e cosa c’entra, quello che ha fatto la accusatrice per arrivare negli USA? Ma cosa ne sanno, loro? Hanno mai avuto l’esigenza di doversi far rilasciare dei documenti fondamentali per la loro carriera lavorativa, la loro vita e, magari, anche la loro sopravvivenza?

Quando una persona straniera sale alla ribalta per ragioni tutt’altro che ideali, possono affiorare un sacco di questioni se si indaga su perché e come sia finita lì.

Ho pensato a me, europea bianchiccia di classe media, e a come ne uscirei anche sul piano dei media se mi succedesse qualcosa del genere: quante irregolarità si troverebbero nella mia permanenza a Barcellona? Penso agli anni che ho aspettato, come dottoranda italiana, prima di prendermi il numeretto di cui parlo più sotto, o prima di dichiarare finalmente il mio indirizzo barcellonese, che per il comune è rimasto lo stesso mentre cambiavo casa quelle due, tre, quattro volte. Oppure scoprirebbero il tempo che ci ho messo a iscrivermi all’AIRE, questo cosiddetto diritto-dovere che a volte, mi rincresce dirlo, crea solo problemi (mi hanno raccontato qualche storiella sull’interferenza tra l’iscrizione all’AIRE e l’accesso alla sanità pubblica tedesca).

Per non parlare delle volte che mi hanno beccata a evadere tasse a mia insaputa (e dico io: almeno ne fossi stata al corrente, me li sarei mangiati quei soldi!). Una volta erano stati i soldi che dovevo per un mini-sussidio di disoccupazione (la cosiddetta ayuda), dopo che ero stata licenziata con tutto il mio reparto aziendale e non avevo capito che quella cifra irrisoria andasse dichiarata. Sì, sono scema.

La seconda volta era stato per la tassa sulla prima casa che ho acquistato nei pressi della Rambla, prima di scappare a gambe levate per i vicini che mi ritrovavo (quasi tutti del posto, malpensanti). Non ero riuscita ad automatizzare il pagamento. Mea culpa, certo, ma diciamo che la burocrazia non aiuta, specie se consideriamo che in epoca più recente il comune, a due anni dall’acquisto della casa in cui risiedo adesso, ha continuato per un po’ ad addebitarmi le tasse di casa vecchia, e dopo varie rettifiche, spedizioni di atti notarili, telefonate, mi considerava ancora un’inquilina il 5 dicembre. Adesso la dichiarazione dei redditi me la fa un amico avvocato e anéu amb Déu. (Va detto che da più parti mi assicurano che esiste un servizio pubblico e gratuito di consulenza, solo che, posso dirlo? Ho paura!)

Pensate che sia la sola ad aver accumulato irregolarità assortite?

Soltanto nella comunità italiana di Barcellona, dunque tra persone perlopiù bianche (almeno in Europa) e con il passaporto “giusto”, potete trovare:

– gente che per otenere il Nie si è comprata un precontratto di lavoro da una persona con partita IVA (ho visto prezzi che vanno da i 90 ai 300);

– gente che si è fatta prestare i circa 5200 euro da accreditare sul conto, ha ottenuto con quelli il Nie e li ha restituiti;

– gente che è stata “aiutata” a ottenere il Nie dai suoi stessi datori di lavoro: non tutti lo fanno gratis per agevolare un/a dipendente, e alcuni addirittura fingono l’assunzione, poi se ti va ti prendono sul serio;

– gente che ha fornito un indirizzo a caso al commissariato di una cittadina sperduta, che ancora rilasciava il documento a chiunque avesse la cittadinanza europea: bastava che risiedesse lì;

– gente che ha fornito l’indirizzo di parenti che risiedono in città, per avere agevolazioni di vario tipo;

– gente che ha trovato un impiego “da quello della Barceloneta che dà lavoro agli italiani, ma speraci poco perché preferisce le ragazze” (ancora devo capire chi sia ‘sto tipo);

– gente che lavora in nero nei locali italiani, che la sfruttano con la scusa che non ha i documenti;

– gente che subaffitta a prezzi tali che si lascia pagare l’affitto dai propri coinquilini, e se glielo fai notare dice che “se davvero vuoi aiutare il prossimo, ti prendi questi soldi e li dai in beneficenza”. Non capisce che è proprio questa pratica a mandare la gente in strada;

– gente che rileva attività in vendita, le avvia per qualche tempo e poi le cede a prezzi stellari;

– gente che si vanta di aver sposato donne extraeuropee (che avevano bisogno dei documenti), in cambio di soldi e di prestazioni sessuali periodiche.

E non fatemi cominciare con la comunità pakistana.

La domanda è: cosa potreste trovare nella vita di una ragazza madre africana che non parla bene l’inglese e pulisce camere a Manhattan?

Soprattutto: soluzioni ne abbiamo?

In catalano si dice: cap persona és il·legal. Cap significa “nessuno/a”. Fate voi.

Pubblicità