
Sì, sono una persona noiosa, perché Dante l’ho portato perfino all’esame di Italiano 1 (“Ma sei pazza?”), quando tutti, per intenderci, optavano per la premiata ditta Machiavelli & Verga. Eppure, del Sommo mi restano i due colpi di fulmine iniziali:
- Francesca da Rimini che legge del “disiato riso” mentre viene baciato da “cotanto amante”, e Lancillotto e Ginevra devono essere bellissimi sulla carta preziosa del manoscritto; ma Francesca e suo cognato Paolo sono fatti di carne e ossa, e allora lui invece del riso le bacia “la bocca”, e lo fa pure “tutto tremante”! Galeotto il libro e chi lo scrisse, e tutti i libri che ci hanno messi in guardia dal pericolo di rifugiarci in un mondo alternativo, sperando così di “scappottarci” quello reale. Ma hanno voglia ad avvertirci, le castellane riminesi, o i cavalieri erranti che lottano contro i mulini a vento, e perfino le casalinghe ottocentesche della campagna francese… Il fatto è che noi ci caschiamo sempre. E noi abbiamo le storie, “quelli di là” hanno le armi. Dunque, scusate se me la immagino sempre con una punta di napoletanissima cazzimma, la romagnola Francesca, mentre conclude: “Caina attende chi a vita ci spense”. E salutame a Satana.
- A proposito… Il momento più esilarante di tutti, nel mio rapporto con la Commedia, risale addirittura alla manovra circense che Dante fa in groppa a Virgilio, una volta che saltano su Lucifero. Il poeta latino scende lungo i fianchi del demone, poi si gira, si aggrappa al pelo delle gambe e… “Vede che anche Lucifero indossa scarpe Nike!”. Questa era del mio compagno di banco, e sparata così in classe, alla terza ora, mi costò un principio di soffocamento per non scoppiare a ridere, e finire in quella Natural Burella che era l’ufficio del preside.
Ma chi voglio prendere in giro? Forse avete indovinato dal tenore filosofico di certi miei post, che il verso (e mezzo) che mi ha accompagnato di più nella mia permanenza all’estero è stato quel famoso “Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui”, che Cacciaguida profetizza a Dante. Soprattutto perché quella profezia è una balla mostruosa per una che, invece del pane toscano, è stata allevata a botta di pane cafone.
Ergo, per me è stata una tragedia, fin dal pane inglese imbustato che in Italia chiamavo pan carré, ma che un fidanzato troppo scrupoloso mi portava “fresco” dal supermercato di suo padre: voleva dire solo che la data di scadenza slittava di qualche settimana! A Barcellona, invece, la baguette deludeva sia me che gli amici francesi (ma va’), e la prima volta che mi sono decisa a comprare il pa de pagès, che tradotto era tipo “pane cafone” (ma comunque più insipido), la commessa me lo stava per mettere automaticamente nell’affettatrice. “No!” sono insorta. Come potevo spiegarle il sublime concetto di cuzzetiello, la tendenza a staccare con le dita l’angolino esterno della pagnotta?
Tant’è vero che ho accarezzato per anni l’idea di scrivere una raccolta di racconti dal titolo “Lo pane altrui”, con dentro storie italiane all’estero che fossero imbottite di baguette, pagnotte, mezzelune, pite, e le nuove panificazioni a cui ci siamo dovuti abituare noi “cervelli in fuga” (qualsiasi cosa voglia dire). Avevo anche cominciato a raccogliere storie, pensate un po’!
Anche perché mica è un concetto semplice: per me il pane barcellonese è stato più che altro il naan del Raval, quartiere d’immigrazione in cui quella sorta di pita fumante, fatta sul momento da Bismillah in un apposito forno, era molto meglio della baguette precotta che mi forniva “l’alunno di posteggia”, cioè il panettiere marocchino sotto casa. In compenso, alle maldestre avances dell’alunno di cui sopra, che era diciottenne, contrapponevo le risposte ben assestate della mia adolescenza napoletana.
“Eccoti la baguette, bella come te!”
“Mi stai paragonando a una pagnotta?”
“Vabbè, è bionda come te, però!”
Stavo per cominciare a scrivere di questa, e altre pagnotte, quando mi sono resa conto di qualcosa: sarebbe ancora più divertente se, invece di scrivere tutto io, lo facessimo insieme. Insomma, facciamoci i pani nostri, ciascuna o ciascuno parli per sé!
Che ne pensate? Lo scriviamo, ‘sto capolavoro?
Fatemi sapere, raccontatemi le vostre storie… E Cacciaguida, muto!
A mali estremi…