Ieri ho chiacchierato su Instagram con Gabriela Cistino, alias @Unaelle, di qualcosa che mi chiedo da ormai tredici anni: perché?
Perché lo Stato spagnolo sembra decisamente più avanti dell’Italia, quanto a politiche di genere? Gli stessi dibattiti all’ultimo sangue sulla legge trans, o sui permessi equiparati di paternità e maternità, dimostrano che, qui dove vivo, vengono proposte soluzioni a problemi che spesso, in Italia, neanche si cominciano a individuare. Come argomenta Unaelle, la mia terra d’adozione non è l’Olanda, e molti problemi restano terribili e urgenti: mi viene da pensare alle amiche madri che si lamentano della scarsità di asili e scuole pubbliche, in un paese che privatizza molto su sanità e istruzione. Oppure ricordo la consigliera barcellonese che andò a denunciare un episodio di molestia, e si vide chiedere se, oltre che palpata, fosse stata anche derubata: quel particolare avrebbe velocizzato l’intera procedura. Nonostante tutti i limiti, certe questioni che ormai do per scontate non lo sono in Italia.
A riprova che, come sospetta Unaelle, l’educazione gioca un ruolo fondamentale nella differenza, l’aspetto più divertente è che nella comunità italiana si ripropongono le stesse dinamiche della madrepatria. Come se un anno, due, trent’anni trascorsi qui non servissero a scrollarsi di dosso l’odore di chiesa, e l’idea che la famiglia sia una degna sostituta del welfare. Qui dove vivo, che so, vado alla riunione “politica” di un movimento italiano spazzato via dalla pandemia (posso scrivere “per fortuna”?), e un tizio mi fa impunemente mansplaining (per gli autarchici: minchiarimento). Allora, una conoscente che ha assistito alla scena mi fa poi osservare che il minchiaritore “avrebbe fatto così anche con un uomo”: stes-sa co-sa, proprio, e stesse dinamiche di potere. A riunione finita, l’organizzatore dell’incontro si vede offrire da un altro italiano, stavolta un attivista nei movimenti locali, i protocolli antisessisti che si usano in Catalogna, ma cade dal pero. Proprio non capisce di cosa stia parlando quel punkabbestia lì: l’intera faccenda non andava forse derubricata come un mio momento d’isteria?
Mi lamento di tutto questo con dei vecchi compagni di associazione, e uno di loro mi dichiara di aver subito womansplaining (sic). Allora mi chiedo: ma io, perché dovrei frequentare ‘sta gente?
Il tempo è prezioso per chiunque, non vedo perché sprecare il mio a discutere con persone che non vogliono vedere, mentre tante realtà autoctone sono sensibili ai diritti, e vanno come treni…
Gabriela, invece, non si arrende. Crede che il femminismo possa attecchire nell’intera società, anche nella terra stivaliforme che ha generato tutto il disagio di cui sopra. In ogno caso, secondo lei bisogna provarci. E allora ci proviamo. Perché ammiro la dedizione della compañera, o companya. E poi perché, da questa crisi qui, ho deciso di condividere sempre le cose belle che imparo.
Il risultato, potete seguirlo qui sotto.