Ieri, con un amico scozzese, abbiamo scherzato sull’opportunità di guardare insieme la finale degli europei: lui avrebbe tifato Italia, io Inghilterra.
Visto? Non si tratta di gufare, ma di sostenere la squadra che sentiamo più vicina! Ok, l’amico sostiene che “proprio non può tifare Inghilterra”, anche se questa, per lui, è la formazione più difficile da schifare di sempre. Quanto a me, devo molto a Manchester, dai Take That in poi, e soprattutto sono rimasta disgustata dalla soluzione democristiana al “dilemma” di inginocchiarsi: sintomo di un paese dispostissimo ad avere il prosciutto sugli occhi, purché sia San Daniele.
In generale, il calcio mi rievoca al massimo una lontana partita in pineta con amici di famiglia, in cui un terzino quarantenne sollevava da terra mio fratello di otto anni, per rubargli la palla! Un po’ poco per farmi amare il tifo, che è anche una questione di identità: non vi dico le pagine di italiani all’estero, come si stanno fomentando in queste ore! In un posto in cui diventi all’improvviso minoranza, certe insicurezze si affrontano in due modi:
- lavorandoci su ogni giorno;
- facendo quadrato e sfottendo il resto del mondo.
Indovinate qual è la soluzione più facile? In fondo anche il mio insulto preferito a questo genere di espatriati, che per la cronaca è “fasciobeghini”, fa parte di una strategia identitaria: mi prendo il meglio di ciò che per me è stata l’Italia, e me lo godo nella mia nuova casa.
Lo so, la nazionale pretende di unire “tutti”, e vi auguro che sia così! Al momento unisce di sicuro le mascolinità fragili che, giorni addietro, hanno bombardato la pagina di un attivista che si limitava a chiedersi: quanto è facile, per gli uomini cis etero, occupare spazi pubblici per festeggiare? Siamo proprio all’ABC del concetto di privilegio: non è una colpa, tuttavia continua a offendere identità scolpite nella roccia, ma piuttosto soggette a sgretolarsi alla prima scossetta.
Vabbè. Domenica, se l’amico scozzese mi dà buca, mi farò una passeggiata rilassante anche per questi qua.
(L’unico calcio che aunisce la paranza!)