
Vi capita mai che la stessa storia, nel corso del tempo, assuma per voi significati diversi?
Ve lo chiedo perché sto scrivendo un nuovo romanzo, dunque sto vivendo tra due mondi, anzi tre: un passato che non ho mai conosciuto, ma di cui ho scoperto l’esistenza vent’anni fa; un futuro che non conoscerò mai, perché è quasi impossibile che si verifichi così come lo immagino; il presente che conosciamo.
Ok, un po’ vi ho ingannato: il romanzo non è nuovo. Sono vent’anni che la prozia di un mio amico, morta troppo presto, mi perseguita in ogni fase della mia vita, con nuove domande e risposte su quella fine precoce. Tanto che la cara estinta ha perso i connotati originali è diventata una me che non è mai esistita, e mai esisterà. Perché Angelina, come la chiamo da vent’anni, sarebbe morta “per amore”: un’evenienza sulla cui impossibilità mi avevano già istruito i Neri per caso, prima ancora di Lucio Battisti.
Adesso che decostruisco l’amore romantico, questa diagnosi così triste e poetica si intreccia con un altro tema a me carissimo: sopravvivere all’amore, quello “della vita”, una volta che hai scoperto che non dura una vita. Però me lo immagino lo stesso, questo amore mai morto né nato: si può trovare solo se ne dimentichiamo il volto, per poi ricomporlo in modo che ci assomigli. Forse si fa prima a morire, ma francamente è una sorte che lascio alla povera Angelina.
Io mi limito a dire che il passato e il futuro mi mulinano in testa in questi giorni di strade affollate e luci un po’ squallide. Pazienza se una vulgata orientale mi invita a concentrarmi su un presente che sarebbe l’unica realtà, e che però, date le circostanze, mi angoscia più di tutto il resto.
Martin Seligman sostiene, come ricordavo qui, che la nostra specie è fatta per sfruttare il passato a beneficio del futuro: ne va della nostra sopravvivenza.
A voi, chi vi insegna a sopravvivere? La mia maestra è Angelina: il suo coraggio e i suoi errori mi svelano a poco a poco una serenità senza tempo.
Spero che la impariate anche voi.